25 anni dopo: nel ricordo di voi, il nostro impegno contro le mafie

Alle ore 17, 56 minuti e 32 secondi di sabato 23 maggio 1992 un cratere si apre sull’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi con Palermo. All’altezza dello svincolo di Capaci, 572 chili di esplosivo vengono attivati a distanza e spazzano via le tre auto su cui viaggiano il giudice Giovanni Falcone e la sua scorta. Muoiono il magistrato, la moglie Francesca Morvillo e tre uomini della scorta: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Sopravvivono all’attentato gli agenti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello e l’autista giudiziario Giuseppe Costanza.

Due mesi dopo sarebbe stato ucciso in un attentato dinamitardo un altro magistrato-simbolo della lotta a Cosa Nostra: il giudice Paolo Borsellino.

Furono due colpi durissimi inferti al cuore dello Stato.

Sono passati 25 anni. E il dolore di una ferita viva, incisa sulla pelle del Paese, ancora non si placa. Perché è un fallimento grande e una vergogna profonda quando uno Stato non riesce a difendere i suoi uomini migliori, quelli che si spendono in prima linea per affermare i suoi valori fondanti: legalità e giustizia.

Oggi la lotta alla mafia si è spostata su un altro versante, non meno insidioso. Se le mafie hanno dismesso la violenza brutale e stragista, continuano però a infettare l’economia e la società sane attraverso i fiumi di denaro di provenienza illecita che vi riversano.

L’economia mafiosa è una realtà consolidata, ormai, anche al Nord Italia. Anche in Veneto. Anche a Treviso. Un cancro che rischia, in certe aree e certi settori, di diventare metastasi come conseguenza della lunga crisi economica che ha fiaccato il tessuto produttivo e sociale ma anche dell’abbassamento delle difese morali e valoriali che hanno colpito parti della nostra società.

«La pericolosità delle associazioni mafiose sta nella loro capacità di creare rapporti di convenienza con il mondo economico, oltre che con il mondo politico. Quindi oggi le mafie non sono meno pericolose di prima e sono sicuramente più insidiose» ha dichiarato Rosy Bindi, presidente della Commissione parlamentare Antimafia, in una intervista rilasciata a cnatreviso.it qualche settimana fa (qui l’articolo integrale).

Il suo appello agli imprenditori è stato chiaro: rifiutare denaro di provenienza non chiara perché, così facendo, si rischia di consegnare le imprese al controllo della criminalità organizzata. «Non è vero che il denaro non ha odore: il denaro della mafia, così come i voti, puzza e non produce né sviluppo né crescita di qualità».

In occasione dei 25 anni delle stragi di Capaci e di via Amelio, la memoria, il ricordo, il dolore che si rinnova devono servire a rendere il presente fertile di un rinnovato impegno: scommettere sempre sulla legalità, sulla giustizia, sulla libertà da ogni asservimento a poteri fasulli.

Un impegno che, come CNA, come Associazione di liberi imprenditori, ci sentiamo di assumere fino in fondo. Perché abbiamo ben chiara l’idea dell’Italia in cui vogliamo vivere: unita, democratica, libera, fondata sull’impresa e sul lavoro. Un’Italia dei doveri e dei diritti. Un’Italia del merito. Un’Italia di donne e uomini liberi. Non l’Italia delle mafie.

 


 

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