Populismi, Antonio Maria Baggio: «Non sono il male ma vanno aiutati a maturare visione» Dibattito a Treviso martedì 16 ottobre 2018 alle ore 20.30 all'Auditorium istituto San Pio X

 

Antonio Maria Baggio, docente dell’Istituto universitario Sophia di Loppiano (FI), è stato chiamato dalla scuola di formazione sociale e politica “Partecipare il Presente” a ragionare di “Populismi e democrazia” martedì 16 ottobre, alle 20.30, all’auditorium dell’istituto San Pio X di Treviso (viale D’Alviano) nell’ambito dell’ultimo incontro della 32ª Settimana sociale dei cattolici trevigiani.

La sua è una visione non ideologica di quel fenomeno che è il populismo politico incarnato oggi – a suo dire – dal Movimento 5 Stelle e, per certi aspetti, dalla Lega di Salvini.

Professor Baggio, cos’è il populismo?

«Il populismo non è un fenomeno nuovo: negli ultimi secoli, dalla rivoluzione francese in poi, si è generalmente manifestato quando un sistema istituzionale e politico è entrato in crisi, a causa di grandi trasformazioni economiche e sociali. Oggi in Italia e in molti altri Paesi europei e del mondo siamo in questa fase: negli ultimi decenni c’è stata un’accelerazione molto forte delle trasformazioni a tutti i livelli e noi come esseri umani non siamo in grado di stare dietro in maniera efficace a tale velocità di mutamento. Quando analizzava l’epoca moderna, il teologo romano Guardini diceva che la nostra capacità di elaborare un pensiero morale è molto inferiore alla velocità con cui sviluppiamo  gli strumenti tecnici e quindi creiamo problemi che non siamo in grado di risolvere. A livello politico, i cittadini posso facilmente aderire a messaggi che semplificano una complessità difficile da capire e che si rivolgono direttamente a loro, senza intermediari».

Ci sono aspetti positivi nel populismo?

«Il populismo politico può avere anche un aspetto progressivo, almeno nei primi anni, perché scardina equilibri precedenti, sblocca la situazione, e dà la possibilità a un Paese di fare un salto in avanti. I problemi sorgono quando da movimento diventa istituzione, quando cioè arriva al governo di una nazione e a controllare i gangli dello Stato. In questa fase non può più avere la dimensione movimentista, deve assumersi responsabilità, prendere decisioni e fare bene i conti».

Quali invece gli aspetti negativi del populismo?

«La sfiducia nella rappresentanza e nelle formalità della democrazia. Che significa una sfiducia nella democrazia stessa perché non si può separare la democrazia dalle sue regole e procedure. Quando c’è sfiducia in questi strumenti è perché non si distingue il rappresentante dalla sua funzione, il rappresentante dalla rappresentanza. Il rappresentante è corrotto? Si butta via la rappresentanza, che è come buttare via il bambino con l’acqua sporca.  La sfiducia diffusa, anche se motivata dalla protesta contro la corruzione o contro l’incapacità di risolvere i problemi, rischia di far abbandonare degli strumenti essenziali e indebolire così la coesione sociale, lo stare insieme della nostra comunità nazionale. Quindi quando abbiamo una crisi conclamata, riconosciuta, della democrazia bisogna vedere che cosa non funziona e cercare di porvi riparo, imparando a distinguere quello che va a tutti i costi mantenuto da quello che va riformato».

È possibile per una democrazia riformarsi prima di entrare in una crisi irreversibile?

«Certo che è possibile. La Germania negli ultimi trent’anni ha attuato una politica di riforme continue che le permettono di affrontare i cambiamenti straordinari di questo tempo da una posizione più solida della nostra.

Oggi si parla di reddito di cittadinanza; il Governo precedente aveva fatto un provvedimento per certi aspetti simile, che esprimeva l’esigenza di assicurare un reddito minimo a chi non ne aveva ma, anche, attuava politiche di attivazione, cioè di stimolo all’impiego. Vero è che la Germania lo aveva fatto 15 anni prima.

Da noi sono mancate le riforme ed è mancata un’attenzione alla piccola-media impresa, ossatura produttiva del Paese. Dunque dobbiamo recuperare un ritardo.

Va precisato che le grandi questioni di questo tempo devono essere affrontate in una dimensione quantomeno europea: questo è il livello minimo, non è il livello massimo. Oggi nessuno può pensare di fare da solo: la dimensione dei problemi richiede che ci sia una visione continentale del futuro, una visione europea.

Certo, se guardiamo l’Unione Europea vediamo la distanza tra l’ideale straordinario dei fondatori e lo strumento che abbiamo creato, che oggi sembra essere impantanato nelle proprie regole. Ma non dobbiamo dimenticare che le istituzioni europee ci hanno garantito un periodo di pace che l’Europa non aveva mai sperimentato prima.

In ogni famiglia vale il criterio che, se è possibile, si evita di fare debiti; e se proprio bisogna farne, si fanno solo quelli che si è ragionevolmente in grado di restituire in tempi accettabili. Nessun padre di famiglia si sogna di contrarre un debito con la certezza che dovrà essere pagato da suo figlio».

Come si possono arginare gli aspetti anti-democratici e la possibile deriva autoritaria dei populismi?

«Prendendo sul serio le esigenze che essi esprimono. Stiamo parlando di forze che hanno vinto le elezioni, ottenendo un consenso molto vasto tra gli italiani. Se molti nostri concittadini si sono riconosciuti in queste forze vuol dire che esse interpretano esigenze reali. Dovremmo concentrarci su queste esigenze e, in dialogo con tutti – con quelli che hanno vinto e con quelli che hanno perso – chiederci: qual è il modo migliore per dare realizzazione a queste esigenze?

Ai populismi va spiegato che, a fronte di esigenze vere, le soluzioni politiche sono sempre più di una e il dialogo con gli altri serve proprio a individuare la soluzione migliore. Così evitiamo che da un’esigenza giusta si formi un’unica visione politica che può rischiare di diventare autoritaria. Non è ancora questo il momento, però può avvenire, come è avvenuto in passato nel nostro Paese, che dalla crisi della democrazia si è passati a un regime autoritario.

Quindi la soluzione è partecipare, non condannare o creare steccati o giudizi di indegnità o  “essere allibiti”. E vabbè, sei allibito e hai perso. Vuol dire che non ti credono più. E allora tiriamoci su le maniche e ripartiamo. Questo può essere fatto anche a partire dalla dimensione sociale; poi bisognerà trovare le soluzioni politiche».

Che caratteristiche deve avere una classe dirigente che possa guidare con successo una nuova fase di ricostruzione del Paese, uscito fiaccato dalla recente, lunga recessione economica?  

«Dopo la seconda guerra mondiale l’Italia era un Paese paralizzato, in parte distrutto. Bisognava riattivarne l’industria e ricostruire case, strade, città; bisognava dargli istituzioni democratiche che non aveva mai avuto nella loro pienezza; bisognava avere una visione del futuro.

Nel Dopoguerra abbiamo avuto una classe dirigente capace di questo: i comunisti, i socialisti, i democristiani avevano tra di loro idee molto diverse però erano andati tutti a scuola dalla stessa maestra, cioè condividevano una base culturale comune. Sotto il regime fascista, in carcere, in esilio avevano letto,  studiato, si erano formati con l’intelligenza affinata dalla sofferenza. Molti di loro avevano potuto lavorare insieme, pensiamo al manifesto di Ventotene che fu un esempio di collaborazione tra prigionieri. Quando hanno ripreso in mano l’Italia erano antagonisti, ma avevano molto in comune tanto è vero che ci fu una Costituzione unica, non ne fecero tre.

Bisogna ritrovare quello spirito di rispetto, di legittimazione reciproca e la capacità di dialogo e di lavorare insieme. Bisogna tornare a selezionare persone di qualità da mandare nelle istituzioni, uomini e donne preparati, con senso del dovere e del sacrificio e con una visione di futuro. Persone capaci di sacrificarsi per la politica e non di chiedere sacrifici alla politica per sé stessi.

La scuola di formazione sociale e politica “Partecipare il Presente” di Treviso, che chiama la società a riflettere su questi temi e si propone di contribuire a formare sia i cittadini che la classe dirigente, è un progetto di grande rilievo e interesse».
Francesca Nicastro


 

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