«Il problema principale delle democrazie contemporanee è il debito pubblico». Intervista a Paolo Feltrin Il professore di Scienze Politiche e Sociali all'Università di Trieste ne parlerà giovedì 22 novembre a Treviso

«L’obiettivo di un approfondimento sulle rappresentanze è quello di presentare il problema principale delle democrazie contemporanee: il debito pubblico. La crescita delle democrazie nel Dopoguerra si è basata su promesse che poi hanno comportato una spesa eccessiva. L’analisi mostrerà le ragioni, le componenti e le fasi in cui e con cui si è costruito nel tempo il debito pubblico in Italia».

Paolo Feltrin, docente di Scienze Politiche e Sociali all’Università di Trieste, è stato invitato dalla Scuola di formazione sociale e politica Partecipare il Presente a fare una relazione sul tema “Le rappresentanze e il governo di cambiamento” giovedì 22 novembre, dalle ore 15, presso la sala della Camera di Commercio di Treviso-Belluno.

Gli abbiamo chiesto di anticiparci alcuni contenuti sui cui sarà imperniato il suo intervento.

Prof. Feltrin, cosa ha determinato l’enorme debito pubblico che affligge il nostro Paese?

«Le due ragioni principali di accumulo del debito pubblico hanno a che fare con la rappresentanza. In primo luogo perché il debito si è formato per entrate insufficienti: dagli anni ’50 agli anni ’80 le spese hanno superato di molto le entrate e la tassazione, ben distante dall’essere eccessiva come oggi, era insufficiente per l’epoca. Il secondo punto che va messo in luce è il ruolo delle rappresentanze, sia politiche che di interessi, per aver fatto richieste eccessive: l’eccesso di domande che dovevano essere coperte dalla spesa pubblica, in termini di pensioni, spese sanitarie, enti locali, si è rivelato insostenibile».

Esiste una relazione fra rappresentanze, democrazia e debito pubblico?

«Le associazioni sono un bene solo se sono responsabili, cioè se oltre alla capacità di rappresentanza, e quindi di domandare, si assumono anche la responsabilità rispetto alle generazioni future, ossia rispetto al vincolo di finanza pubblica. Tutte le associazioni di rappresentanza, come i partiti, devono necessariamente fare i conti oggi con il problema di rientrare dai debiti del passato. È un processo lungo e complicato che spesso provoca la delegittimazione delle associazioni, perché ogni volta che si è responsabili si viene accusati di essere poco rappresentativi. Quindi la domanda cruciale che riguarda oggi tutte le rappresentanze, sia politiche che associative, è sul come tenere insieme rappresentatività e responsabilità».

Quanto può incidere la mancanza di assunzione di responsabilità sullo stato di salute della nostra democrazia?

«Sta già incidendo. Risulta sempre più evidente, via via che passa il tempo, che le democrazie contemporanee hanno vissuto una sorta di stagione d’oro dal ’45 al ’75 per poi andare in affanno proprio a causa dell’eccesso di promesse che si sono scaricate sul debito pubblico. Tutte le democrazie oggi si trovano in difficoltà. È difficile pensare che sia possibile un ritorno a quei trent’anni d’oro, e quindi le nuove forme di democrazia saranno meno inclusive rispetto a come le abbiamo vissute fino ad ora. Saranno democrazie che tengono meno conto delle domande dei cittadini».

È questo un tema di estrema attualità rispetto alla fase politica che l’Italia sta vivendo.

«È evidente che le forze politiche di governo hanno ottenuto il consenso e cercano di mantenerlo e di gestirlo attraverso politiche governative che accentuano la rappresentatività e quindi tendono a mettere in secondo piano il problema della responsabilità verso il debito pubblico e le generazioni future. L’interrogativo da porsi da qui ai prossimi mesi riguarda quanto la politica possa riuscire davvero a ottenere risultati migliori rispetto alle politiche di austerità degli anni passati».

In questo momento per altro c’è anche un evidente problema di relazione fra le rappresentanze politiche e quelle associative.

«Sì, ma in tutte le epoche storiche questo rapporto è stato complicato, nel senso che in qualche misura c’è una effettiva concorrenza tra le due forme di rappresentanza. Il conflitto c’è sempre e di volta in volta va gestito. Si tratta di una dialettica positiva, perché sta a significare che il cittadino ha più possibilità: a seconda dei casi, può premere più sulla rappresentanza associativa o più su quella politica».

Lei spesso parla della necessità di un cambio di paradigma: cosa intende?

«In passato c’era una divisione di compiti evidentemente più chiara e sotto questo profilo chi è entrato maggiormente in difficoltà sono stati i partiti politici. Oggi è necessario chiedersi come tenere insieme questa società con una presenza così labile e scarsa dei partiti politici. Il nuovo paradigma richiede da un lato una responsabilità maggiore in capo alle associazioni di rappresentanza e di interesse e dall’altro lato va reinventata una forma di rappresentanza politica adeguata».

«L’esperienza di questi anni ci mostra che le nuove formazioni politiche stanno crescendo e in tutto il mondo stanno sostituendo i partiti tradizionali, come a indicare che c’è un assoluto bisogno di cambiamento. In quale direzione, lo vedremo fra 10-20 anni. Quello che è certo è che le vecchie formazioni politiche non sono più in grado di fare il loro mestiere».


 

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