8 marzo 2012. Donne: più impresa, più parità

L’Italia è un Paese per Donne? La risposta, stando al Newsweek, è un secco “no”.  Il settimanale statunitense ha  redatto una classifica dei posti del mondo più adatti per le donne in base a cinque fattori: giustizia, salute, educazione, economia, politica. Il nostro Paese viene collocato al 59º posto su 165 nazioni.

Lontano dunque dai primi in classifica – Islanda, Svezia, Canada, Danimarca e Finlandia – e sotto tutti i grandi paesi europei (Germania, Francia, UK, ma anche Spagna, Portogallo e Grecia). Persino dopo la Romania e l’Albania. E più giù anche di Macedonia e Moldavia, delle Filippine e di Trinidad e Tobago, del Kazakistan e addirittura della Cina.

Tali classifiche lasciano il tempo che trovano, si può obiettare. Tuttavia un fondo di verità c’è. Noi donne nasciamo “pari” e lo rimaniamo almeno per tutto il periodo degli studi, ma diventiamo “dispare” appena approdiamo nel mondo del lavoro: salari e stipendi più bassi, percorsi di carriera meno agevoli e lineari, le posizioni di vertice quasi precluse, demansionamento al rientro dalla maternità, l’alto tasso di abbandono del lavoro dopo la nascita del primo figlio, fino alle pratiche più odiose delle dimissioni in bianco che, con la crisi economica, sono tornate in voga.

La cultura di cui è impregnato il nostro Paese è ancora declinata al maschile. Basta osservare quali modelli di donna e quale rapporto tra i generi propinano la tivù, che ha ancora una certa influenza nel plasmare l’immaginario collettivo, nel costruire le identità e le aspettative sociali (v. l’eccezionale documentario Il corpo delle donne di Lorella Zanardo).

La maturità di genere è insomma un obiettivo ancora tutto da raggiungere nel nostro Paese e le donne, se non riprendono coscienza che, quella della parità di genere è una battaglia ancora tutta da combattere e da vincere, rischiano di perdere terreno in un contesto economico e sociale non più favorevole. 

L’emancipazione femminile è sempre passata attraverso il lavoro. E, a mio avviso, questa è ancora la via maestra, oltre che naturalmente l’impegno sul fronte educativo e culturale. Ci sono anche segnali positivi che vengono dall’alto. Come ad esempio il riconoscimento, da parte di un’istituzione autorevole come la Banca d’Italia, che se aumentasse il tasso di occupazione femminile dal 47% al 60% (media UE) il Pil italiano crescerebbe di 7 punti percentuali. Dunque più lavoro femminile, oltre che alle donne, farebbe bene al Paese.

Un altro segnale positivo è già venuto dal Governo, che ha recentemente indicato dei provvedimenti a favore del lavoro delle donne rivolti alle aziende che le assumono.

Ma quale lavoro in tempo di crisi? Quello autonomo. La libera impresa. E siamo già sulla strada giusta. L’Italia vanta infatti un primato in tema di occupazione femminile: siamo il Paese delle donne imprenditrici. Il 16% delle donne lavoratrici sono autonome, piccole, spesso piccolissime imprenditrici, che appaiono come dei veri e propri giganti, se si considerano il contesto nazionale e la media europea che non arriva al 10%. Ancora un altro dato: nel 2010 le imprese femminili sono aumentate del 2,1%, mentre le maschili sono diminuite dello 0,4%.

Se il lavoro oggi non si cerca più, perché se ci cerca non si trova, e allora lo si crea, in questo le donne sono più brave: più creative, più flessibili, più capaci di mettersi in gioco anche ad una certa età. 

CNA Impresa Donna è vicina alle donne, specie alle più giovani, in questa sfida. Che è una sfida per il loro futuro e anche per quello del Paese. Vincerla produrrà inoltre un passo in avanti sulla strada della parità di genere, che non significa omologazione ma valorizzazione delle differenze, dove donne e uomini possano finalmente arrivare ad esprimere sé stessi in piena e compiuta libertà.

Mariarosa Battan
Coordinatrice di CNA Impresa Donna


 

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