Artigiano chiede alla banca fidi per 30 mila euro e si sente chiedere la casa della moglie come garanzia

Può succedere, nella Marca locomotiva d’Italia, che un’azienda sana presenti alla sua banca di credito cooperativo la richiesta di affidamenti per 30 mila euro (20 mila di mutuo per l’acquisto di un furgone più 10 mila di conto corrente), con la garanzia del Confidi della CNA, e che la banca, per concedere il prestito, pretenda dall’artigiano una ulteriore garanzia fideiussoria che prevede la firma anche della moglie sulla casa di residenza intestata ad entrambi. Va precisato che la donna non partecipa all’impresa, che è una ditta individuale. E che, per un importo del genere, oltretutto garantito al 50% dal Confidi,  la casa come garanzia è quanto meno sproporzionato.

Quest’episodio esemplifica le condizioni in cui sono costretti a lavorare molti piccoli artigiani, che non trovano nelle banche sostegno alla loro attività. «Queste rigidità, non rare, del sistema del credito in alcuni casi non sono proprio accettabili – bacchetta Giuliano Rosolen, direttore CNA provinciale -. A fronte di importi così esigui, la garanzia del Confidi dovrebbe essere più che sufficiente alle banche. Che devono fare il loro lavoro, cioè finanziare le imprese sane, tanto più ora che c’è scarsa liquidità». 

L’azienda della nostra storia è una ditta termoidraulica individuale, con due dipendenti e un fatturato di oltre 200 mila euro l’anno. Alla richiesta di finanziamento, il Consorzio Fidi della CNA, presa visione della solidità del bilancio aziendale, non ha battuto ciglio approvandolo nel giro di qualche giorno e inviando la pratica all’istituto di credito dell’artigiano. Lì sono cominciati i problemi. Il piccolo imprenditore è stato convocato dal direttore di filiale che gli ha chiesto immediatamente la firma della moglie sulla casa.

«È giusto che le banche chiedano garanzie, non stiamo dicendo che non lo devono fare – puntualizza Walter Barzan, direttore del Consorzio Fidi della CNA -. Ma non ci devono essere atteggiamenti vessatori e arroganti, specie quando gli importi sono minimi. E, soprattutto, vanno valutate le condizioni di salute delle aziende, caso per caso».

La storia dell’artigiano si è conclusa bene: ha cambiato banca e ha ottenuto gli affidamenti. Potrà comprarsi il furgone, versare i contribuiti ai dipendenti, pagare l’Iva e le tasse. 

«In un momento come questo, in cui i clienti non pagano o pagano in tempi lunghi, il problema dell’imprenditore è continuare a dare lo stipendio ai suoi dipendenti, versare i contribuiti, pagare le tasse, l’Iva – conclude Barzan –. Molti artigiani, in difficoltà per carenza di liquidità, scelgono sempre di più di finanziare la propria attività attraverso il mancato pagamento di Iva, tasse e contributi. È però una cosa molto pericolosa perché quando gli istituti previdenziali e il fisco si accorgono, e nel caso del mancato pagamento dell’Iva ci vogliono anche due anni, il debito accumulato è ormai diventato enorme e può pregiudicare l’attività d’impresa».

 

 


 

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