Sergio Saviane e l'eredità perduta di un "rompicoglioni". Intervista all'autore Massimo del Papa

«L’attualità di Saviane sta nella sua assenza, nella sua scomparsa: si è portato via un modo di fare giornalismo che oggi non è neppure sospettato dai bellimbusti (lui avrebbe detto: mezzibusti) che girano».

Un giornalismo che non c’è più. E di cui si sente una grande mancanza. Questa, secondo Massimo Del Papa, giornalista e scrittore, è “l’eredità perduta di Sergio Saviane”, che ha cercato di far emergere nel suo Il rompicoglioni. L’eredità perduta di Sergio Saviane, edito da Alberto Liberali editore, e fresco di stampa.

Un pamphlet ispirato e voluto dalla CNA di Castelfranco che al “dimenticato” giornalista castellano dedica l’Art Premio Arca CNA 2014 Città di Castelfranco Veneto con un evento pubblico il 28 novembre prossimo al Teatro Accademico.

 

Massimo Del Papa, come è nato in te l’interesse per Sergio Saviane?

In tutta sincerità, l’idea è partita da Roberto Ghegin (direttore della CNA di Castelfranco, ndr). Lui pensava a un personaggio di Castelfranco, importante, da ricordare, da recuperare. A me il progetto è subito piaciuto, di Saviane conoscevo a grandi linee la condizione di eterno outsider, di emarginato in vita e, a maggior ragione, in morte: Saviane non è di quelli che, una volta trapassati, assurgono a nuova gloria. Ha continuato il suo destino difficile anche da scomparso. Questo mi è stato più chiaro lavorandoci, perché di lui restano poche e contraddittorie tracce in rete: la stessa opera non si trova quasi più, se non in qualche biblioteca o libreria speciale. Così ho dovuto lavorare come non si usa più, e come si usava ai suoi tempi. Camminando. Sono stato nei suoi luoghi, dai rarissimi amici superstiti, persino al cimitero. Così mi è entrato dentro.

 

Perché parlare di Saviane oggi è di attualità?

L’attualità di Saviane sta nella sua assenza, nella sua scomparsa: si è portato via un modo di fare giornalismo che oggi non è neppure sospettato dai bellimbusti (lui avrebbe detto: mezzibusti) che girano. Fatto di crudele umanità, e di invenzioni, di uno stile destinato a diventare modello. Scrivere è un po’ come suonare: ascolti un po’ di questo e un po’ di quello, finché non trovi il tuo stile. A quel punto, diventi paradigmatico e ci sarà qualcuno che riparte dal tuo modo di esprimerti. È passare la fiaccola. Saviane l’ha passata a un numero incalcolabile di successori: i quali, naturalmente, non gli rendono alcun merito. Ma la sua è una lezione che resta. Ho dedicato l’ultimo capitolo, una apparente divagazione, proprio su questo aspetto.

 

Tre motivi per non dimenticarlo.

Solo tre? Vediamo. La libertà; l’irriverenza; la creatività nello scrivere.

 

Saviane è stato un vincente o un perdente?

Un perdente, senza alcun dubbio. Perché viveva per il suo mestiere, e il suo mestiere l’ha condannato, l’ha ucciso. Non c’è retorica: “Per chi scrivi, padre mio, che tutti ti odiano?”, gli chiedeva la figlia, Caterina. Ma i fallimenti si guadagnano, sono l’ultima cosa che ci resta. Sono i nostri figli. Anche se tutti millantano sempre i successi.

 

Questo libro nasce con l’obiettivo di non relegare nel dimenticatoio la figura di uomo e di giornalista di  Sergio Saviane. Qual è il tuo auspicio?

Sarei già contento se si tornasse a parlarne – il che, quasi incredibilmente, sta accadendo. Non ho voluto fare una biografia, ma un pensiero, un ritratto abbozzato, un punto di partenza. Definitivamente, vorrei succedesse qualcosa per cui… L’opera omnia di Saviane viene ripubblicata, con una bella confezione, e magari gli dedicano pure un Meridiano. Altri non lo meritavano, a lui credo spetterebbe di diritto.

 

Francesca Nicastro

 

Segio Saviane, il rompicoglioni


 

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