Il pericolo di infiltrazioni criminali nell’economia della Marca c’è e non va sottovalutato. La legalità è un dovere di tutti

Il pericolo di infiltrazioni criminali nell’economia della Marca Trevigiana è reale e non va sottovalutato. Tenere alta la guardia è un dovere di tutti, di chi è in prima linea nell’azione di contrasto e repressione delle illegalità come le forze dell’ordine e della magistratura, ma anche della società civile nelle sue articolazioni – le associazioni imprenditoriali, i sindacati, il mondo della scuola e del volontariato, gli enti locali e le forze politiche, singoli imprenditori e singoli cittadini – chiamati tutti ad essere portatori di una cultura della legalità.

È quanto emerso dalla tavola rotonda, promossa dalla CNA provinciale di Treviso, e ospitata martedì 31 maggio nella sala convegni di Casa dei Carraresi a Treviso, a cui hanno partecipato in veste di relatori il procuratore della Repubblica di Treviso Antonio Fojadelli, il giornalista Danilo Guerretta, autore assieme alla collega Monica Zornetta di A casa nostra. Cinquant’anni di mafia e criminalità in Veneto, e il presidente provinciale di CNA Alessandro Conte (il quarto relatore, Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, ha dovuto declinare la presenza all’ultimo momento per gravi problemi famigliari, ma ha voluto lasciare il suo contributo raccolto nell’intervista allegata qui sotto). Sono intervenuti con una riflessione anche il presidente del Tribunale di Treviso Giovanni Schiavon e il prefetto Aldo Adinolfi.

«La provincia di Treviso e il Veneto non sono interessate da azioni criminali violente, di tipo predatorio, riconducibili alla criminalità mafiosa, che non ha interesse ad allertare l’opinione pubblica e chi ha compiti repressivi – ha spiegato il procuratore Fojadelli -. Ma se l’attività predatoria delle mafie qui da noi non c’è, arriva però il loro denaro, che, attraverso il riciclaggio, viene rimpiegato nei circuiti dell’economia legale, con un danno gravissimo per le imprese che operano nella legalità. Le mafie infatti non risentono della crisi economica, anzi approfittano della crisi. Ma gli imprenditori non devono cadere della trappola: il denaro da loro messo a disposizione è solo apparentemente meno costoso di quello legale, perché i costi li pagherà la loro azienda e l’economia di quel territorio, dove si allargherà la corruzione».

Un messaggio chiaro agli imprenditori a non cadere nella tentazione di accettare in prestito denaro facile, fuori dei circuiti legali e di incerta provenienza, per non finire nella spirale dell’usura e rischiare, alla fine, di vedersi portar via la propria azienda. Perché gli usurai mafiosi non si accontentano di lucrare sulle spalle dell’imprenditore – come ha spiegato il presidente Conte – ma ambiscono a rilevarne l’attività economica.

Fojadelli ha parlato quindi del «dovere della memoria», in riferimento alla storia criminale del Veneto ripercorsa a grandi linee da Danilo Guerretta nella sua relazione e in particolare alla mala del Brenta, l’associazione di stampo mafioso che ha  operato nella nostra Regione dagli anni Settanta alla metà degli anni Novanta (una mafia autoctona, anche se con caratteristiche più simili al gangsterismo americano che alle mafie del nostro Meridione), e del «dovere della responsabilità» che si basa sull’«obbligo della conoscenza» e sull’«obbligo finale di essere intellettualmente e civilmente onesti».

Un invito a «fare ognuno il proprio dovere» è arrivato anche dal Presidente del Tribunale di Treviso che ha rilevato che «l’usura stia aumentando, espressione del riciclaggio di denaro». Schiavon ha segnalato ancora una volta la necessità di «fare al più presto la riforma della giustizia civile» e di introdurre norme per combattere l’usura «consentendo agli imprenditori in difficoltà di ricorrere all’esdebitazione anche per l’area dell’insolvenza civile».

Il Prefetto ha negato che nella Marca Trevigiana vi sia presenza della criminalità organizzata e dei reati ad essa legati, rilevando che sono stati pochi i casi di usura segnalati e nessuna estorsione.

Per mantenere la Marca “isola felice” , qualora lo sia davvero, serve comunque una prevenzione capillare e un lavoro sistematico di diffusione di una cultura di legalità. Come ha ricordato il presidente Conte, infatti, quando intervengono le forze dell’ordine e la magistratura significa che il danno è già stato fatto. Regioni come la Lombardia, «colonizzata dalla ’ndrangheta» secondo la Relazione annuale della Direziona nazionale Antimafia, o come la Liguria dove nei mesi scorsi il Comune di Bordighera (Imperia) è stato sciolto per mafia e arrestato di recente il presidente del tribunale di Imperia per aver favorito uomini dei boss, devono essere un monito per il Veneto, la sua classe politica e i suoi imprenditori: gli argini contro i tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia locale vanno alzati e al più presto.

Presenti al convegno, tra gli altri, anche il vicequestore Tommaso Mondelli, il colonnello Giancarlo Lusito, comandante provinciale della compagnia dei Carabinieri di Treviso, il capitano Alessandro Filippelli del nucleo della Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Treviso, oltre ai rappresentanti delle organizzazioni sindacali Cisl e Cgil, a numerosi amministratori locali, avvocati, insegnanti, giornalisti, moltissimi artigiani da tutta la provincia.  

[Download non trovato]

La prof. Annalisa Miani, docente dell'IPSSAR Alberini di Lancenigo, ha effettuato un resoconto del dibattito e ce lo ha messo a disposizione. La ringraziamo e lo mettiamo a nostra volta a disposizione dei nostri lettori.

[Download non trovato]

 

INTERVISTA A PIERPAOLO ROMANI

«Contro le mafie gli enti locali hanno un ruolo strategico»

 «Il Veneto, nonostante le difficoltà della presente congiuntura economica, è una regione ricca e prospera ed è per queste sue caratteristiche che è oggetto di attenzione delle holding economico-criminali-mafiose».
Lo afferma  Pierpaolo Romani, veronese, nella XIII e XV legislatura consulente della Commissione parlamentare antimafia. Oggi è coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, associazione nata nel 1996 con l’intento di collegare e organizzare gli amministratori pubblici che concretamente si impegnano a promuovere la cultura della legalità democratica nella politica, nella Pubblica Amministrazione e sui territori da essi governati. Attualmente Avviso Pubblico conta circa 180 soci tra Comuni, Province, Regioni, di cui 20 in Veneto e 3 nella Marca Trevigiana.

Pierpaolo Romani, c’è un problema effettivo di infiltrazioni al Nord della criminalità organizzata?

Pensare ancora alle mafie esclusivamente come a organizzazioni criminali collocate nel Mezzogiorno d’Italia e dedite al compimento di reati che suscitano evidente allarme sociale, ad esempio gli omicidi, è un errore storico oltre che logico e politico.

Perché?

Perché è già dagli anni Ottanta che si avverte il problema della presenza mafiosa nell’economia anche nel Nord Italia, in particolare in Lombardia, la regione locomotiva dell’Italia. Basti pensare che Luciano Liggio, il capo del clan dei corleonesi, fu arrestato a Milano nel 1974. L’avvocato Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della banca di Michele Sindona, fu ucciso a Milano l’11 luglio del 1979 perché aveva scoperto l’attività di riciclaggio di denaro mafioso condotta dal banchiere di Patti (ME) tramite la sua Banca Privata Italiana. Un altro banchiere milanese, Roberto Calvi, legato alla loggia massonica P2, si adoperò con il Banco Ambrosiano per riciclare capitali mafiosi. Già nel 1994 la Commissione parlamentare antimafia parlava di una vastissima ramificazione di forme varie di criminalità organizzata di tipo mafioso praticamente in tutte le regioni d’Italia.

E in tempi più recenti?

La recente inchiesta “Crimine” condotta dalle procure di Milano e Reggio Calabria ha portato all’arresto di più di 300 persone, metà delle quali in Lombardia, evidenziando come alcuni settori economici, tra i quali l’edilizia, il movimento terra, i trasporti, lo smaltimento illecito dei rifiuti siano pesantemente infiltrati da imprese legate alle organizzazioni mafiose calabresi, siciliane, campane.

Questo livello di compenetrazione delle mafie nell’economia riguarda anche il Veneto?

Parlano i fatti. La recente indagine, denominata “Serpe”, ha portato alla scoperta di un clan della camorra legato ai Casalesi che a Padova recuperava attraverso lo scudo di una società di recupero crediti. Approfittando del momento di crisi di liquidità che investe tante piccole e medie imprese venete, i camorristi prestavano denaro a tassi usurai e chi non pagava veniva pesantemente minacciato e picchiato. Le imprese coinvolte sono risultate circa un centinaio, un numero certamente significativo se pensiamo che il fine dell’attività usuraia mafiosa non è quello di prestare soldi per fare soldi, ma prestare capitali per impossessarsi delle aziende. Un monito e un rischio, questo, lanciato nel novembre 2010 anche dall’allora Presidente dell’Ance Veneto Stefano Pelliciari. Che l’usura sia un problema serio lo dicono anche i dati: sono 19 le denunce presentate in Veneto nel primo semestre 2010, dato questo che si trova nella relazione semestrale della DIA.

Ci sono altri indizi, prove di una presenza di mafiosi o dei loro capitali sul nostro territorio?

Il Veneto, nonostante le difficoltà della presente congiuntura economica, è una regione ricca e prospera ed è per queste sue caratteristiche che è oggetto di attenzione delle holding economico-criminali-mafiose. La prova di questo interesse si constata, per esempio, negli 80 immobili e nelle 4 aziende che sono state sinora confiscate nella nostra regione ad organizzazioni mafiose e a gruppi di criminalità organizzata. Questi dati pongono il Veneto al decimo posto della classifica nazionale.

C’è percezione a suo avviso, da parte dell’opinione pubblica, dei rischi connessi al fenomeno delle infiltrazioni?

Un recente sondaggio pubblicato dal Sole 24 Ore del Nordest, che ha coinvolto 600 imprese venete, ha dato dei risultati sorprendenti: per un imprenditore su due la criminalità organizzata costituisce un problema reale, concreto e attuale. Il fenomeno, secondo gli imprenditori interpellati, è cresciuto molto negli ultimi dieci anni e i settori più minacciati risultano essere quelli dell’edilizia e del commercio. Parliamo di questioni delicate, come l’aggiudicazione di appalti per opere pubbliche o la fornitura di servizi con il criterio del massimo ribasso – talmente basso da chiedersi come economicamente un’impresa possa stare sul mercato – e parliamo di contraffazione di merci e prodotti che porta anche a connubi criminali importanti, come ad esempio quelli accertati tra camorra napoletana e mafia cinese.

Da noi vale il detto: “Pecunia non olet”, il denaro non ha odore. 

Non è vero che pecunia non olet, il denaro un odore ce l’ha, basta allenarsi a sviluppare l’olfatto. L’attenzione dell’opinione pubblica e degli operatori dell’economia e della finanza va posta proprio sui flussi economici-finanziari che vengono immessi nella nostra regione. Nel primo semestre 2010. Dal Veneto sono giunte all’Unità di Informazione della Banca d’Italia ben 689 segnalazioni di operazioni finanziarie sospette, due al giorno, che pongono la nostra regione al sesto posto a livello nazionale.

Cosa accade a un territorio quando le mafie si infiltrano nell’economia legale?

Quando le mafie si infiltrano nell’economia legale si riduce, fino a scomparire, il principio della libera concorrenza. Gli imprenditori onesti, quelli che si sono fatti da sé con fatica e impegno, persone per le quali il lavoro e l’impresa sono una ragione di vita, vengono inesorabilmente scacciati dagli imprenditori disonesti, i quali, certamente, non garantiscono la qualità dei prodotti e dei servizi che il mercato e i consumatori si aspettano.

Dobbiamo inoltre essere consapevoli che i soldi dei mafiosi non arrivano mai in solitudine: insieme ai capitali arrivano anche i gruppi criminali, i quali pretendono di dettare le regole in modo univoco, esercitando la corruzione, l’intimidazione e, quando si rende necessario, anche la violenza.

I cittadini, gli amministratori locali, gli imprenditori, i professionisti, gli operatori della finanza e dell’economia in generale devono scolpire nella loro mente le parole del Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, quando nel marzo 2011, a Milano ha affermato: “Il prezzo che una società paga quando è contaminata dal crimine organizzato, in termini di peggiore convivenza civile e mancato sviluppo economico, è alto. Contrastare le mafie, la presa che esse conservano al Sud, l’infiltrazione che tentano nel Nord, serve a rinsaldare la fibra sociale del Paese ma anche a togliere uno dei freni che rallentano il cammino della nostra economia”.

Avviso Pubblico è un’associazione che mette insieme Comuni, Province, Regioni: cosa possono fare concretamente gli amministratori locali per contrastare le infiltrazioni delle mafie nella società?

Gli enti locali possono fare molto perché sono la prima “faccia” dello Stato su un territorio. Gli enti locali devono anzitutto attrezzarsi per conoscere i fenomeni, quindi mantenere costantemente dei rapporti con le istituzioni che sul territorio contrastano i fenomeni illeciti e con le associazioni di categoria, il mondo della scuola, il sindacato…. Quindi, primo: conoscere; secondo: costruire rapporti e collegamenti; terzo: utilizzare gli strumenti previsti delle leggi  per fare azioni sul versante della prevenzione.

Come si aderisce ad Avviso Pubblico?

Il Comune, o provincia o Regione, che vuole aderire all’associazione deve presentare la domanda di adesione e supportarla con una delibera di giunta o meglio di consiglio comunale (o provinciale o regionale). L’Ufficio di Presidenza di Avviso Pubblico ha tempo 90 giorni per dare una risposta affermativa o negativa all’ente. Una volta che un ente aderisce, significa che condivide i principi statutari della nostra associazione. Se questi principi vengono traditi, ad esempio qualche funzionario o amministratore viene coinvolto in un’inchiesta, scatta naturalmente la sospensione.

Che vantaggi comporta ad un ente locale o Regione aderire ad Avviso Pubblico?

Facciamo formazione per amministratori per spiegare loro cosa sono le mafie e i meccanismi di infiltrazione nell’economia del Nord del Paese. Come dicevo prima: la conoscenza dei fenomeni è il primo passo.  Quindi condividiamo e portiamo gli amministratori a condividere le buone pratiche sul fronte della legalità. Abbiamo messo in piedi dei gruppi di lavoro. Ad esempio: il Comune di Reggio Emilia ha adottato una buona pratica in tema di appalti, per rendere il più trasparente possibile tutto il processo che porta alla selezione di una ditta fino alla realizzazione dell’opera. Se uno va sul sito del Comune trova l’elenco delle ditte vincitrici, l’identikit di ciascuna e degli eventuali subappaltatori. In virtù di questa competenza al Comune di Reggio Emilia abbiamo affidato il coordinamento del gruppo di lavoro sugli appalti.

Altri esempi di buone pratiche di vostri associati condivise nell’ambito dell’associazione?

Rimanendo a Reggio Emilia: qui è stato istituito un Osservatorio provinciale contro la criminalità organizzata. In quel territorio c’è un problema molto serio di infiltrazioni della ’ndrangheta nel settore edile: le istituzioni hanno deciso di non nascondere il problema ma di affrontarlo in una logica di responsabilità. L’Osservatorio è aperto al mondo della scuola e alle associazioni locali. Si occupa soprattutto di raccogliere materiale e di fare informazione.
Spostiamoci in Sicilia. A Vittoria, in provincia di Ragusa, il Comune ha fatto un accordo con le associazioni di categoria in base al quale agli imprenditori che si rifiutano di pagare il pizzo, vengono condonate le tasse per 10 anni. La legalità infatti deve essere conveniente e questa misura lo dimostra. A Niscemi, invece, città in provincia di Caltanissetta, il Comune stesso si è fatto promotore di un’associazione antiracket.

Poi ci sono anche, in tutto il Meridione, molti buoni esempi di uso a fini sociali dei beni immobili confiscati alle organizzazioni mafiose, che sono diventate scuole, centri sociali, sedi di associazioni e cooperative.

Sul vostro sito è stata di recente pubblicata la notizia che la Regione Emilia Romagna ha appena varato una legge per contrastare le infiltrazioni mafiose nel loro territorio?

L’Emilia Romagna non è l’unica regione italiana ad avere adottato una legge con gli obiettivi citati, lo avevano già fatto ad esempio la Sicilia e la Campania, ma senz’altro è una delle migliori leggi regionali in circolazione per il contrasto delle infiltrazioni mafiose. Simonetta Saliera, vicepresidente della giunta emiliana, ha capito che la prima cosa da fare era censire l’esistente, capire cosa sta succedendo nel suo territorio, dove c’è una presenza evidente della criminalità organizzata, e diffondere le informazioni. Tra gli obiettivi della legge c’è quello di aprire uno sportello rivolto ai Comuni per dare loro tutte le informazioni e l’aiuto necessario a gestire i beni confiscati alle mafie presenti nel loro territorio. Si tratta di un’azione importante perché spesso i piccoli Comuni non hanno né le competenze né le risorse per gestire un bene confiscato. Ancora: la legge stanzia dei fondi a sostegno delle vittime, iniziativa strategica perché sono le vittime che ti possono far trovare i responsabili. Contiene inoltre la previsione di osservatori provinciali contro le mafie e di un centro di documentazione regionale. La Regione, inoltre, si costituirà parte civile in tutti i processi per mafia relativi a delitti compiuti sul suo territorio.

L’Emilia Romagna, insomma, ha deciso di non aspettare e di mettere in campo azioni importanti a contrasto di un fenomeno e di una presenza criminale che esiste là come esiste in Veneto.

Francesca Nicastro

 


 

ULTIME NOTIZIE

CNA TERRITORIALE DI TREVISO

Viale della Repubblica 154
31100 Treviso
Tel: 0422.3155 - Fax: 0422.315666
Email: info@cnatreviso.it
CF 94004630268
Tutti i diritti riservati


Powered by Sixtema Spa