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Riforma del lavoro, Malavasi: "Le tutele ai giovani è la norma che apprezzo di più"
Il presidente della CNA nazionale Ivan Malavasi, giovedì 29 marzo a Treviso, ha raccontato a una numerosa platea di imprenditori quali istanze ha portato avanti e quali obiettivi ha raggiunto R.ETE. Imprese Italia, in cui CNA è rappresentata, nei mesi di trattativa con il Governo sui provvedimenti di risanamento e riforma. In particolare, il Presidente della CNA si è concentrato sui correttivi che l’Associazione è riuscita a far passare in Parlamento per migliorare il testo sulle liberalizzazioni licenziato dall’Esecutivo. Malavasi ha dunque sottolineato l’importanza di aver dato rappresentanza unitaria ai “piccoli” dell’artigianato e del commercio, prima divisi in tante sigle, che oggi riescono finalmente a far valere le proprie ragioni all’interno delle istituzioni ai massimi livelli.
Lo abbiamo intervistato sulla riforma del mercato del lavoro, sulla quale le parti sociali e il Governo hanno appena trovato la quadra, reintroducendo il reintegro nel caso di licenziamenti oggettivi (economici) illegittimi.
Abbiamo sentito cosa pensa di questa riforma il presidente nazionale della CNA.
Presidente Malavasi questa riforma Fornero la convince? Riuscirà secondo lei a dare più competitività al sistema economico?
"La riforma del mercato del lavoro, da sola, non sarà certo l’elemento che rimetterà in moto la crescita del Paese. Servono insieme tante altre azioni. Va abbattuta la burocrazia, va fatto dimagrire un Pubblico invadente che ogni anno spende 852 miliardi di euro, il 52% del PIL. Va poi data certezza al diritto".
Sul fronte della crescita sono sufficienti i provvedimenti messi in campo dal Governo?
"Il Governo ha finora fatto tante azioni. Ciò che finora non ha ancora fatto, e per farlo servono soldi, e non solo debiti (finora il Governo sta tentando di tamponare dei debiti ma allo sviluppo servono soldi) allora il Governo ha bisogno di fare una azione di responsabilità nei confronti della Comunità Europea per togliere i vincoli di bilancio delle amministrazioni pubbliche dove sono ferme ingenti risorse. Bisogna riattivare le piccole azioni, la manutenzione delle strade, degli ospedali, delle case, delle scuole, fare opere infrastrutturali, utilizzare tutti i soldi recuperati con la lotta all’evasione fiscale abbassando le tasse, ai lavoratori per primi per dare impulso ai consumi interni, alle imprese per dare maggiore competitività.
Ciò che serve è abbastanza chiaro. È che non c’è la bacchetta magica. Durante il dibattito uno segnalava: “Ma se rimaniamo a lavorare come facciamo a favorire l’occupazione?”. Se lo sviluppo fosse al 3%, ci sarebbero l’uno e l’altro. Il problema è che abbiamo alzato l’età pensionistica e abbiamo un paese in netta recessione, a -1,6%".
È preoccupato?
"La preoccupazione è veramente tanta. Se la politica però, correggendo qualche ingiustizia e stortura, manterrà coerente l’obiettivo di risanamento dei conti, se non se lo dimenticherà e riprenderà corpo il partito della spesa, ragionevolmente riusciremo ad abbattere il debito pubblico. Noi paghiamo ogni anno 75 miliardi di oneri per il debito pubblico. Se gli interessi sul debito dal 5% passassero al 2% gli oneri si dimezzerebbero. E allora: un po’ dall’evasione, un po’ dalla fiscalità e si possono fare davvero grandi cose".
Tornando alla riforma Fornero, che giudizio ne danno la CNA e R.ETE. Imprese Italia?
"Le piccole imprese, in questa occasione, hanno avuto un riconoscimento straordinario delle loro necessità di flessibilità e degli strumenti che hanno messo in campo, come gli enti bilaterali. Non è vero che con questa riforma avremo maggiori costi, non è vero né che avremo vincoli maggiori sui licenziamenti o, al contrario, che avremo più libertà di licenziare. È vero invece che avremo un costo da sostenere, e siamo orgogliosi di sostenerlo, per i nostri figli o i figli dei nostri amici che, se perdono il posto di lavoro, avranno un minimo di sostegno tra un’occupazione e un’altra, che gli consenta di accendere un mutuo e prendere casa, di sposarsi, di fare un figlio".
Esattamente, che oneri maggiori avranno le imprese?
"Per i rapporti di lavoro stabili assolutamente niente. Rimane inoltre il riconoscimento nella gestione della bilateralità. Per i contratti a tempo determinato, invece, viene incrementato il costo contributivo che sale all’ 1,4%. Questi soldi tornano indietro per un sesto all’impresa se trasforma il rapporto di lavoro in un tempo indeterminato; se invece non lo trasforma, e in alcuni casi potrebbe succedere, quei soldi vanno a finanziare l’Aspi, l’assicurazione sociale per l’impiego che serve a dare continuità al salario di un lavoratore (sono esclusi però i flessibili, co.co.pro., co.co.co., etc., vale solo per i dipendenti, ndr) fra un’occupazione e l’altra. E io so che è un costo ma sono orgoglioso di sostenere questo costo se sono soldi che vanno a un giovane. Questa riforma secondo me contiene un enorme vantaggio per i giovani e questa è la parte che apprezzo di più".
I lavoratori saranno più tutelati o meno tutelati?
"Noi abbiamo due anomalie dentro il mercato del lavoro: un gruppo di lavoratori che sono iperprotetti o comunque ampiamente protetti e chi di protezione non ne ha neanche una. La fisica insegna: se uno è troppo protetto è come una camera stagna, che non lascia entrare l’acqua, e quindi tiene fuori dal sistema delle tutele gli altri lavoratori e in particolare i giovani. E questo i sindacati lo dovrebbero capire. Noi non vogliamo abbattere diritti, vogliamo creare delle opportunità.
Allora io penso che avere, a seguito di una ristrutturazione aziendale, due anni di cassa integrazione più due di straordinaria, più due di mobilità, più sei mesi, in tutto sei anni e sei mesi, sia un delitto, son soldi buttati via. Non per qual lavoratore, che ne ha diritto. Ma sarebbe meglio che quei soldi fossero dati alle imprese per sviluppare lavoro piuttosto che per pagare un lavoratore che sta a casa sei anni e mezzo.
La logica che c’è dentro questa riforma è tenere uno strumento medio-lungo, arrivare fino a tre anni, casomai con maggiori coperture, creando un fondo nazionale, e non più mescolando quote dentro l’Inps, che è uno dei drammi che non ci spiega mai nessuno, tra quant’è la previdenza e quant’è l’assistenza. Bisogna rendere trasparenti le cose perché possiamo decidere se vogliamo fare un sacrificio o se non vogliamo farlo".
Con le modifiche all’articolo 18 cosa cambia per le aziende artigiane e le piccole e medie imprese?
"Uguale a prima non cambia nulla. Le nostre categorie di imprese non sono soggette all’articolo 18 ma alla 108/90, che disciplina i licenziamenti individuali. Noi siamo soggetti solo al licenziamento per giusta causa, per giustificati motivi, che avevamo prima e che rimane così anche adesso. Non avremo mai in nessun caso la monetizzazione se non quella che abbiamo adesso, nel caso di licenziamento illegittimo con il risarcimento del danno al lavoratore da un minimo di due e mezzo a un massimo di sei mensilità di retribuzione. Per noi non cambia assolutamente nulla".
Come imprenditori, dunque, vi sentite o no più liberi di licenziare adesso?
"Se per un imprenditore il problema è licenziare penso che non sia un imprenditore. Un'impresa cresce se ha occupati. Ci sarà anche un problema di dare flessibilità in uscita ma il problema vero è poter creare occupazione che si crea se c’è sviluppo. Con il PIL che decresce di -1,6% è difficile creare occupazione. Noi diciamo: concentriamoci sul trovare risorse per riavviare la spesa, non la spesa pubblica ma la spesa in investimenti, materiali ed immateriali, penso alla banda larga, alle reti di comunicazione, ai porti, alle grandi opere che ridanno competitività al Paese, perché quando è competitivo il Paese sono competitive le imprese".
Francesca Nicastro
Altri scatti della serata (a cura di Fotofobia)