Legge Fornero, ecco le modifiche richieste dall'artigianato

La legge Fornero aiuta a creare lavoro? Se ne è parlato ieri sera in un convegno organizzato dalla CNA provinciale di Treviso in cui è intervenuto il giuslavorista e senatore Pietro Ichino e il presidente nazionale dell’Associazione artigiana Ivan Malavasi.

L’evento si è tenuto al centro congressi di Ca’ del Galletto a Treviso.

Alfonso Lorenzetto, presidente provinciale CNA, ha fatto il punto sulla crisi occupazionale che investe la Marca, con una diminuzione di posti di lavoro dipendente di 7.300 unità negli ultimi 12 mesi e gli 11 milioni di ore di cassa integrazione autorizzate nei primi 8 mesi dell’anno, pur in diminuzione del 13% rispetto al 2011.

Altro dato termometro della difficile situazione del lavoro: nelle liste di mobilità sono entrati 5.402 lavoratori, con un aumento del 32% rispetto lo stesso periodo dell’anno scorso.

La legge Fornero, che ha la finalità dichiarata di contribuire ad innalzare la crescita e l’occupazione, con particolare attenzione ai giovani, è intervenuta sulla flessibilità in entrata e in uscita dal mercato del lavoro, sugli ammortizzatori sociali e sulle politiche attive per il lavoro.

«La parte che ci lascia insoddisfatti riguarda soprattutto la flessibilità in entrata – ha evidenziato Alfonso Lorenzetto, presidente provinciale CNA – in un momento di forte crisi economica come l’attuale, invece di favorire le assunzioni, in particolare a tempo determinato, introducendo misure strutturali, come la riduzione del cuneo fiscale e contributivo piuttosto che incentivi che durano qualche mese, la legge Fornero ha irrigidito le forme di assunzione diverse dal contratto a tempo indeterminato. Ma l’assunzione a tempo indeterminato non si raggiunge introducendo maggiori difficoltà nell’instaurazione dei rapporti né con l’aumento del costo dei contributi per i contratti a termine e a progetto o con la forte limitazione agli strumenti della partita Iva e dell’associazione in partecipazione».

Secondo la CNA di Treviso, su tali forme contrattuali si doveva aumentare la capacità di controllo per sanzionare gli abusi senza aggiungere nuove difficoltà burocratiche e maggiori costi per le imprese.

Altra criticità della riforma: la famigerata “tassa sul licenziamento”.

«Appare del tutto contraddittoria – ha rincarato Lorenzettola misura che prevede l’obbligo di pagare una contribuzione aggiuntiva in caso di licenziamento di un lavoratore assunto con contratto a tempo indeterminato: ciò appare un incomprensibile appesantimento proprio della tipologia contrattuale che si vorrebbe favorire».

C’è un’urgenza che preoccupa moltissimo il mondo artigiano e riguarda, in provincia di Treviso, 3500 lavoratori: «A 50 giorni dal 1° gennaio non siamo oggi in grado di dire se potremo erogare nel 2013 ai lavoratori dell’artigianato sospesi l’indennità Inps/ente bilaterale con modalità similari a quelle degli ultimi quattro anni» è stato un altro dei punti critici evidenziati dal presidente della CNA.

Il professor Ichino ha messo in luce gli aspetti positivi della riforma, a cominciare dal freno «ad un uso insensato della cassa integrazione» caratterizzato da uno spreco enorme di risorse pubbliche e da lavoratori bloccati per anni fuori dal mercato del lavoro.

Un fenomeno, tuttavia, che riguarda la grande impresa, non l’impresa artigiana che gode della cassa integrazione in deroga dal 2009 mentre prima non poteva avvalersi di questo ammortizzatore sociale a favore dei suoi dipendenti.

Dato che nel giro di un anno 8 lavoratori su 10 che hanno perso il lavoro, in assenza di ammortizzatori sociali, riescono a trovare una nuova ricollocazione, per il giuslavorista sarebbe utile che le aziende potessero valersi di qualificate società di outplacement per ricollocare con successo i lavoratori e che l’Inps contribuisse al costo di questo servizio, utilizzando magari anche i fondi del Fondo sociale europeo, attualmente inutilizzati al 60%. Un altro modo, insomma, di intendere gli ammortizzatori sociali, in linea con il welfare di molti Paesi europei avanzati.

Per Ichino, un altro dei problemi da risolvere del mercato del lavoro italiano rimane lo skill shortage ovvero la carenza di lavoratori specializzati ricercati dalle aziende per un’inefficienza dei servizi nell’incrociare domanda e offerta di lavoro. Nel Veneto le inserzioni di lavoro che cadono nel nulla sono 45.250 (dato Cgia Mestre), 117.000 su scala nazionale (dato Unioncamere 2011), ma si stima che siano molte di più, tanto che non c’è solo il «fenomeno dei lavoratori scoraggiati ma anche quello degli imprenditori scoraggiati».

Altra criticità del mercato del lavoro italiano è la sostanziale dualità tra chi è iper protetto e chi non ha nessuna protezione. Un difetto tutto italiano che va assolutamente corretto agendo sul blocco degli automatismi per il lavoro dipendente.

Una legge imperfetta dunque, quella Fornero, ma pur sempre un passo in avanti per rendere il mercato del lavoro italiano più flessibile, dare più competitività alle aziende e favorire la crescita, in direzione di quanto ci chiede l’Europa.

Ivan Malavasi, presidente nazionale della CNA, ha auspicato che non prevalga il fronte parlamentare, trasversale, già al lavoro per depotenziare la riforma: «C’è un brutto vezzo, nel nostro Paese, che ogni governo che arriva deve distruggere le leggi che fatto il precedente. Il ritorno della politica al governo del Paese è auspicabile, ma nella prossima legislatura si dovrà migliorare non cancellare quello che di buono è stato fatto in questa. Saremo molto attenti affinché la legge Fornero non venga depotenziata bensì migliorata nelle sue criticità».

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