Conte: «Federalismo non sia nuove tasse»

Le nostre imprese stentano più delle estere a essere competitive sui mercati internazionali. Motivo? Mancanza di efficaci politiche industriali, l’assenza di investimenti volti a favorire crescita e sviluppo, le dimensioni ridotte ma, soprattutto, le nostre imprese pagano una pressione fiscale che ha raggiunto livelli record e che si accompagna alle storiche difficoltà a cui deve far fonte il nostro sistema produttivo: ritardi nei pagamenti, difficoltà di accesso al credito, carenza delle infrastrutture.

A lanciare l’allarme è il presidente provinciale della CNA (Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) Alessandro Conte.

«La pressione fiscale reale, per le imprese che pagano regolarmente le tasse, ha raggiunto il 52%. Un livello insopportabile e impossibile da reggere anche in periodi di boom economico, figuriamoci dopo due anni di crisi. Ma la cosa che pesa di più  – prosegue Conte – è il progressivo venir meno del legame tra imposte e reddito che fa sì che le imprese si trovino costrette a pagare alcune tasse, come Irap e Ici,  a prescindere dai loro guadagni, anche in periodi di recessione, senza parlare dell’incremento delle tariffe dei rifiuti, del gas, dell’acqua, dell’energia…».

Le entrate fiscali attualmente servono finanziare quasi esclusivamente le spese relative ai servizi pubblici, ritenuti per larga parte insufficienti, e gli interessi sul debito pubblico, lasciando poche briciole per rinnovare le infrastrutture, cioè per quegli investimenti indispensabili per far ripartire il Paese.

«Il primo passo è quindi senza dubbio quello di razionalizzare e abbassare la spesa pubblica, non di vessare ulteriormente le imprese – spiega Conte -. Anche perché, dai dati che abbiamo in mano, l’evasione fiscale è diminuita, le imprese in regola nel 2009 sono aumentate dell’8% rispetto al 2008, superando il valore medio del 76,2%».

Per la CNA i parametri su cui effettuare i controlli devono essere realistici. «Il redditometro ci fa paura, non perché temiamo gli strumenti di controllo – continua il presidente degli Artigiani – ma proprio perché si rischia di allontanare nuovamente il fisco dai cittadini. Se attraverso gli studi di settore un contribuente è in regola, questo deve bastare: non si può chiedere che si risulti congruo in base a due strumenti diversi e distinti».

Preoccupazione anche sul fronte della riforma federalista. «Il federalismo che sta varando il governo rischia di trasformarsi in un ulteriore aumento della pressione fiscale per le imprese. Infatti, il passaggio dall’attuale aliquota ICI, pari in media al 6,49 per mille, alla nuova IMU con aliquota base del 7,6 per mille, che però grazie all’autonomia concessa ai Comuni potrebbe essere incrementata sino al 10,6 per mille, comporterebbe un aggravio fiscale sugli immobili strumentali posseduti dalle imprese pari a circa 3 miliardi di euro».

Il federalismo fiscale che piace alla CNA è invece un altro: «È quello – conclude Conte – che favorisce la progressiva riduzione della spesa pubblica locale improduttiva e che determina un meccanismo virtuoso in grado di abbassare la pressione fiscale sulle imprese. Ci aspettiamo che i Comuni, nell’ambito della propria autonomia tributaria, riducano, come permette la norma, l’aliquota base del 3 per mille . In tal modo le imprese godrebbero di un risparmio di imposta pari a 1,4 miliardi di euro».

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