Fisco: aumentati i costi della burocrazia fiscale, PMI martoriate

Il sistema produttivo trevigiano è immerso pienamente nella difficile, epocale, riconversione, anche organizzativa, dei suoi attori e delle sue reti economiche. Operazione di modernizzazione, questa, non più procrastinabile per le profonde trasformazioni che l’economia ha subito  a causa della globalizzazione e della crisi economico-finanziaria. In questo scenario, del tutto nuovo e drammatico, l’Amministrazione finanziaria, che adempie alle indicazioni governative, sta dimostrando una straordinaria insensibilità verso l’universo delle piccole e medie imprese, che costituiscono l’ossatura del tessuto produttivo locale. Non solo non sono diminuite le tasse, anzi sono aumentate, ma sono incrementati pesantemente i costi della burocrazia fiscale, per via dei nuovi adempimenti introdotti che si assommano a misure già discutibili. Misure in larga parte del tutto inutili a contrastare realmente l’evasione fiscale, che invece penalizzano le imprese oneste. Ci sono dunque due Italie: una che lavora e produce, che cerca di rimanere competitiva sui mercati per mantenere i livelli di sviluppo e di benessere e scongiurare il rischio di decadenza del nostro Paese; e c’è l’Italia della burocrazia mastodontica, che con i suoi riti, le sue pretese, i suoi tempi, frena irresponsabilmente la corsa dell’altra Italia.   

I costi di compliance, ovvero di adeguamento alla normativa fiscale, sono aumentati anche fino a qualche centinaia di euro in più l’anno. Costi che, naturalmente, pesano sulle spalle delle aziende già provate dalla sfavorevole congiuntura economica. Lo rileva la CNA, che punta il dito contro alcuni specifici provvedimenti in materia fiscale. Dalla sua analisi emerge che l’eccessiva burocrazia fiscale, assieme alla difficoltà di accesso al credito, rimane il nodo da sciogliere per la tenuta, in certi casi la sopravvivenza, delle PMI. Per le piccole e medie aziende non ci sono incentivi, non ci sono aiuti, non c’è una politica vera e seria per la ripresa. Ci sono però tanti adempimenti e costi in più.

«Fermo restando che la lotta all’evasione fiscale deve rimanere al centro della politica di qualunque governo, va tuttavia rilevato che i costi burocratici a carico delle aziende sono aumentati in modo inaccettabile, in un momento particolarmente delicato per l’economia – denuncia Giuliano Rosolen, direttore della CNA provinciale -. E questo senza che tali provvedimenti siano in molti casi efficaci a contrastare realmente l’evasione. Non per niente la Corte dei Conti sta facendo delle verifiche per capire se l’aumento dei costi di adeguamento, che sono costi sociali, sono proporzionati al beneficio che ne trae l’Erario».

Ecco alcuni esempio di adempimenti che hanno aumentato i costi di compliance per le aziende.

Obbligo di comunicazioni per operazioni superiori ai 3 mila euro La manovra d’estate ha reintrodotto l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate, telematicamente, tutte le operazioni attive e passive, di acquisto e di vendita, sopra i 3 mila euro per l’anno 2011 (per il 2010 la comunicazione va fatta solo per le operazioni di importo pari o superiore a 25 mila euro). Tale provvedimento riguarda anche le operazioni che le imprese fanno con i privati, cosa che una volta non accadeva. Da ciò ne consegue che si rende, di fatto, necessario fare la fattura anche ai privati (in luogo del più agevole scontrino o ricevuta fiscale). Nei confronti delle imprese, questa norma dovrebbe servire per controllare che non ci siano occultamenti di fatture tra clienti e fornitori (in realtà l’efficacia operativa è pressoché nulla, ha più una funzione deterrente). Nei confronti dei privati avrebbe l’obiettivo di effettuare un vero e proprio censimento del tenore di vita (una sorta di “occhio” all’interno delle case). Tuttavia, secondo la CNA (la cui valutazione è in linea con quella della Corte dei Conti), c’è sproporzione tra obiettivi e risultati.

Obbligo di autorizzazione preventiva per acquisto-vendita con Paesi CEE Introdotto con la manovra d’estate, comporta un aggravio insensato di costi anche l’obbligo di autorizzazione preventiva, da richiedere all’Agenzia delle Entrate, per poter effettuare anche solo sporadiche operazioni di acquisto e di vendita con Paesi della Comunità Europea. L’obiettivo sarebbe quello di contrastare le frodi comunitarie, con evasione di Iva. È una comunicazione che va fatta preventivamente, stimando l’importo, che spesso è impossibile da stimare (come fa un imprenditore a sapere preventivamente quali acquisti dovrà fare durante l’anno?). Se tale adempimento ha poco senso per chi ha rapporti commerciali strutturati e non occasionali con l’estero, non lo ha certo per chi acquista una tantum dei materiali, magari un ricambio auto o un software via internet.  L’orientamento dei commercialisti è quello di fare a tappeto, per tutte le aziende, la richiesta di autorizzazione preventiva, per evitare di trovarsi poi con transazioni fatte dal cliente e non denunciate. Ma i fiscalisti dell’associazione artigiana non comprendono l’utilità per l’Agenzia delle Entrate di queste informazioni, che potrebbe agevolmente ottenere tramite i modelli intra. Anche questo nuovo adempimento fa perdere tempo e soldi alle imprese senza portare benefici erariali.

I modelli intra. Il modello francese su cui registrare le operazioni intracomunitarie di acquisto o vendita da inviare all’Agenzia delle Dogane ha tre campi (nome e cognome dell’azienda, importo e PIVA), quello italiano ne ha almeno 32. La burocrazia italiana si distingue per appesantimento anche quando risponde a obblighi comunitari. Completare 32 campi invece di 3 comporta più tempo e l’impiego di più risorse umane. Questi sono costi che si riflettono direttamente sulla competitività della aziende, anche qui senza dare alcun beneficio all’Erario. L’invio del modello intra è trimestrale o mensile, sia per gli acquisti e le vendite. Quindi ne vengono inviati da un minimo di 4 all’anno a un massimo di 12, per ciascun campo: acquisto e vendita. È stato introdotto con il DL 331/93.

Le dichiarazioni di intento. Un altro adempimento telematico in più, oltretutto messo a carico della parte sbagliata, è la comunicazione che devono fare al Ministero dell’Economia i soggetti che ricevono una lettera di intento da un proprio cliente esportatore abituale, in cui questo dichiara di avere le condizioni perché non gli sia addebitata l’Iva (perché lui ai suoi clienti esteri non applica l’imposta sul valore aggiunto). Le comunicazioni, a rigor di logica, dovrebbero essere fatte da chi emette una lettera di intento, non da chi la riceve. È un adempimento, messo in capo al soggetto sbagliato, che ha un costo per ogni invio telematico. È stato introdotto con la L. 311/2004.

Le operazioni con Paesi black list. C’è l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate per via telematica tutte le transazioni effettuate con Paesi inseriti nella black list. Vorrebbe essere una norma anti-paradisi fiscali. Ma nella lista dei Paesi ci sono, ad esempio, anche la Svizzera e San Marino. Si arriva dunque al paradosso che, se un imprenditore soggiorna una notte o pranza in Svizzera e quindi registra la fattura/ricevuta, deve effettuare la presentazione del modello black list, con addebito dei relativi costi. Il nuovo obbligo è stato introdotto con il DL 40/2010.

 

Questi elencati qui sopra sono solo alcuni esempi concreti della montagna di burocrazia che in Italia pesa sulle aziende e che danneggia soprattutto le “piccole” perché in molti casi sprovviste al loro interno di una funzione amministrativa strutturata. Il punto è proprio questo: non tutte le aziende sono uguali mentre le misure vessatorie sono uguali per tutti. Dunque, i “piccoli” sono più colpiti di altri, a fronte già una situazione generale di scarsa tutela e di politiche per lo sviluppo che rasentano lo zero.


 

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