La storia di Ambrogio Mauri, l'imprenditore onesto che morì per aver detto "no"

ambrogio_mauriTutti gli imprenditori onesti dovrebbero conoscere la storia di Ambrogio Mauri, uno di loro. Uno che ha pagato il prezzo della sua onestà con la vita. Un prezzo comunque troppo alto per un uomo che “non voleva fare la rivoluzione, voleva costruire autobus”. E “pensava che il suo dovere di imprenditore fosse farlo nel modo migliore, proponendo mezzi più innovativi della concorrenza”.

Ambrogio Mauri si è sparato un colpo al cuore il 21 aprile del 1997 nell’ufficio della sua azienda, la Mauri Bus System,  a Desio, provincia di Milano, uno dei polmoni produttivi del Paese. Aveva 66 anni.

Aveva lottato una vita per affermare la sua azienda attraverso la qualità dei suoi prodotti e servizi, rifiutandosi di scendere a patti con un sistema che chiedeva di essere “oliato”: tangenti in cambio di commesse. A questi compromessi lui non volle mai scendere e “la sua azienda, nonostante fosse all’avanguardia, anno dopo anno è diventata invisibile, regolarmente sconfitta nelle gare d’appalto a cui partecipava”.

Con lo scoppio di Tangentopoli, l’imprenditore brianzolo sperò in una svolta. Ma presto la speranza si rivelò vana. Quando capì che tutto era rimasto come prima si sentì sconfitto. “Io ho tentato ma… non sono riuscito a pagare. Che stupido” ha lasciato scritto. Quasi un rimprovero verso sé stesso.

Perché, per un imprenditore, non riuscire a far crescere l’azienda, dover mettere in cassa integrazione gli operai, licenziare i dipendenti, è una sconfitta. E si può immaginare il dilemma che viveva: piegarsi, fare come fanno tutti e salvare l’azienda rinunciando ai propri valori, o resistere, tentare di imporre un modello diverso, mettendo a repentaglio la salute dell’impresa e il posto di lavoro dei collaboratori. O il lavoro o la coscienza. L’Italia è un Paese così. Non è un caso se nelle classifiche internazionali supera per corruzione molti paesi africani.

Mauri era un cattolico praticante e un cittadino impegnato: dal 1970 al 1975 era stato consigliere comunale con la DC. Era uno di solidi principi. Aveva cominciato a lavorare a 19 anni, dopo la morte del padre nell’officina da lui fondata. Aveva lottato tanto, e con entusiasmo. Poi ad un certo punto è prevalsa la stanchezza.

Nelle lettere che ha lasciato scrive: “Mi trovo con un mondo che non comprendo più. I valori che mi hanno insegnato sembrano scomparsi. Non credo più in questo Paese dove corruzione e prepotenze imperversano sempre”. E ancora: “L’onestà non paga. La correttezza e la trasparenza non pagano. Questo non è più il mio mondo. Sono stanco, ora tocca a un uomo onestovoi”.

L’eredità del padre l’anno raccolta i figli: Roberta, Carlo e Umberto che, assieme alla madre Costanza, hanno continuato l’attività aziendale.

Ma quell’“Ora tocca a voi” è un’eredità di tutti. Di tutti quegli imprenditori e cittadini che sognano e pretendono di vivere, come Ambrogio Mauri, in un Paese dove gli unici criteri per avanzare siano merito, competenza, trasparenza, onestà.

Valori che applicati all’economia significano: prodotti e servizi di miglior qualità e minor  costo, maggiore tutela del consumatore, più elevata competitività del Paese. La corruzione non è che una tassa occulta che pagano i cittadini per l’arricchimento di pochi saccheggiatori. Ed è uno dei fattori di scarsa competitività del nostro sistema produttivo.

Pagare tangenti, corrompere o farsi corrompere non è un destino ineluttabile, è una scelta. Anche se alle volte può non apparire tale. Leopoldo Pirelli, a questo proposito, lascia una testimonianza importante: “Un rimorso c’è. Riguarda il periodo di Tangentopoli. [….] Alcuni imprenditori hanno sostenuto di essere stati in qualche modo costretti a pagare partiti, uomini politici, pubblici amministratori, altrimenti le aziende non avrebbero potuto lavorare. Hanno sostenuto cioè di essere state vittime di una concussione generalizzata. […] Non è stato così. Concussi sono stati i piccoli imprenditori […]. Ma non le maggiori imprese del Paese. Se una decina di grandi aziende avessero denunciato la corruzione che era diventata sistema, nessuno avrebbe potuto impedircelo e schiacciarci, tutti insieme eravamo forti a sufficienza per schiacciare quel malcostume”.

Insomma, una strada c’è. Ed è quella dell’onestà diffusa. L’unica che garantisce di poter essere imprenditori normali in un Paese normale, e che non costringe nessuno a diventare vittima o eroe.

Roberta Mauri è, in questi giorni, nella Marca Trevigiana a raccontare la storia del padre e della sua famiglia, invitata dal Centro Servizi per il Volontariato, in collaborazione con Libera, Acli e Avviso Pubblico. Ha incontrato gli studenti di alcune scuole superiori di Treviso e Vittorio Veneto, cittadini, imprenditori.

La storia di Ambrogio Mauri è raccontata nal libro, avvincente come un romanzo, Un uomo onesto. Storia dell’imprenditore che morì per aver detto di no alle tangenti della sceneggiatrice Monica Zapelli, pubblicato dalla Sperling&Kupfer nel 2012.

Un libro da leggere, un impegno da prendere: perchè Ambrogio Mauri resti, soprattutto per le giovani generazioni, “uno di noi”, uno in cui riconoscersi, da ammirare, non da compatire, non uno straniero in una terra irriconoscibile.

 


 

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