La storia di Sally. "Ho chiuso il laboratorio ma credo che la vita mi darà un'altra chance"

«Sicuramente verrà un futuro migliore di questo. La vita è come le stagioni, si alternano momenti di buio e di luce. Il segreto è tenere sempre una candela accesa dentro il cuore, perché il buio non sia mai completamente tale».

A Sally Li Pani, 44 anni, di Villa d’Asolo, la vita ha fatto più di uno sgambetto, colpendola nella salute (ha il 65% di invalidità per sclerosi multipla) e nel lavoro. Ma lei, insieme al marito Vittorio e alle figlie Samantha e Dajana («le migliori opere d’arte che abbia mai fatto»), è ancora in ricerca fiduciosa della sua «chance».

Il suo laboratorio-negozio di sartoria, che forniva principalmente il gruppo Benetton, ha cessato l’attività alla fine del 2012, dopo dieci anni.

«Avevo diversificato il business in tre settori per dare ai miei clienti un servizio a 360 gradi – racconta –: ci occupavamo di arredo casa, prototipia di abbigliamento leggero, riparazione di capi di vestiario. Avevamo tantissime commesse, poi di punto in bianco ci siamo trovati a non avere più nulla. Abbiamo tirato avanti un anno sperando che il mercato si riprendesse, poi abbiamo deciso di chiudere. Stavamo accumulando debiti, le banche e le finanziarie interpellate non ci davano credito. A fine ottobre dell’anno scorso, il nostro principale committente ci ha comunicato che ci avrebbe garantito commesse solo fino a novembre. Scegliere di chiudere non è stato facile, ma era l’unica cosa che avrei potuto fare: se andavo avanti, avrei solo facendo altri debiti e non avrei potuto pagare gli stipendi alle mie collaboratrici. Con il laboratorio non abbiamo mai fatto i soldi, ma ci permetteva di vivere».

Le sue tre dipendenti – ci dice – hanno già trovato lavoro, lei è ancora in ricerca. A portare a casa uno stipendio fisso, al momento, non c’è nemmeno Vittorio: cinque anni fa ha dovuto cessare l’attività di autotrasporto.

«Era un piccolo padroncino – continua Sally – con l’arrivo della crisi, il crollo delle commesse, i costi fissi elevati, lavorava per fare debito. Quando mio marito ha chiuso la ditta, ha perso il camion e ipotecato la casa. Ora ci arrangiamo in qualche modo, ma non abbiamo una busta paga che ci permetta di stare tranquilli a fine mese e di pagare i nostri debiti, tra cui il mutuo dell’appartamento».

«Se dicessi che non sono preoccupata del futuro direi una bugia, ma sono convinta che la vita mi darà un’altra possibilità. Escludo di arrivare a livelli di disperazione tali da pensare al suicidio, anche se capisco cosa si prova in quei momenti perché anche io ho attraversato un periodo di buio fitto, tanti anni fa, e di recente abbiamo vissuto in famiglia il dramma di chi perde il lavoro, non lo trova più, e pensa che la soluzione sia farla finita. Adesso, ogni giorno mi alzo con la curiosità di vedere cosa mi porterà la nuova giornata e alla sera, quando faccio il bilancio, mi dico: “Beh, non è andata poi così male”. Non mi sento ferita dentro, anche se ho vissuto la rabbia nel constatare che il mio impegno e la mia voglia di intraprendere sono stati sufficienti, ma continuo a dirmi che ce la posso fare».

Sally vive giorno per giorno, ma non ha perso la forza e la voglia di progettare.

«Al momento sto cercando qualunque lavoro, anche in settori diversi dal mio – conclude -, ma l’obiettivo rimane quello di mettere a frutto ciò che so fare bene. Io ho una grande passione per il mio lavoro, quando creo ad esempio una tenda e il cliente mi dice che è bella, che gli ha reso più bella la casa, mi sento realizzata. Non escludo nemmeno, quando verranno tempi migliori, di rimettere in piedi un’attività. Mio marito dice che la passione per il mio lavoro è la mia vera malattia e che non c’è modo di guarirla».

L’appello di Sally Li Pani a quanti vedono il suicidio come unico rimedio o l’unica via d’ uscita: «C’è sempre una via d’uscita, fatevi aiutare a trovarla».