big quitdim

Una strategia per frenare il big quit, il fenomeno in crescita delle dimissioni volontarie (circa 115 al giorno in provincia di Treviso, secondo Veneto Lavoro), è la detassazione dei premi di produttività che può anche diventare un primo passo per innovare in direzione di una maggiore coinvolgimento dei lavoratori nella governance delle aziende, anche piccole.

Le imprese che, come CNA, abbiamo seguito in questo percorso, hanno visto alzarsi la motivazione e la fidelizzazione dei propri collaboratori.

Va però, a mio avviso, compresa bene l’espressione big quit per non incorrere in fraintendimenti pensando che la gente fugga dal lavoro per andare ai Tropici a spiaggiarsi sotto una palma. Non è così.

Siamo in una fase segnata da abbondanza nella domanda e scarsità nell’offerta per cui i lavoratori sono contesi tra le aziende e cambiano posto di lavoro facilmente se gli conviene. Chi si dimette infatti, nel giro di una settimana-quindici giorni trova una nuova occupazione.

In un momento di scarsità di mano e mente-dopera, per le imprese aumentare il proprio appeal è dunque indispensabile.

Va detto che nel mondo artigiano – almeno dall’osservatorio di CNA, associazione di imprese articolata in tutto il territorio nazionale e che assiste anche nella Marca Trevigiana migliaia di imprese associate – non le vediamo tutte queste dimissioni volontarie.

Me lo spiego per le caratteristiche intrinseche delle imprese artigiane che – lo ricordo ai lettori – sono quelle che non superano i 18 dipendenti (8 nell’edilizia) e in larga parte sono a gestione famigliare. Quando ci sono dipendenti non famigliari integrati in tali realtà produttive si creano dei legami di affezione che di per sé portano a una fidelizzazione, senza dover imporre stringenti vincoli contrattuali. 

I giovani che vengono assunti nelle piccole imprese non finiscono dietro una catena di montaggio, hanno la possibilità di esperire più mansioni e di imparare un mestiere vero e proprio che gli darà la possibilità, dopo qualche anno, di mettersi in proprio. Accade ancora, per fortuna.

C’è però un passo in più che le piccole imprese possono fare per andare nella direzione di un’innovazione dei modelli di governance e rispondere ai bisogni delle nuove generazioni che chiedono più coinvolgimento (engagement), maggiore flessibilità e autonomia e organizzazioni meno verticistiche e più orizzontali.

Aumentare la fidelizzazione dei dipendenti condividendo gli obiettivi aziendali e facendo un accordo gestito dalla propria associazione di categoria per detassare i premi di produttività. La normativa incentiva questi accordi detassando i premi sui quali il lavoratori pagano solo il 5% di Irpef. I premi, con l’assenso dei lavoratori, possono anche essere convertiti in prestazioni di welfare aziendale.

Nelle ditte che hanno accolto questa sperimentazione i benefici sono stati tangibili per tutti, anche per i datori di lavoro che hanno integrato una mentalità nuova rinunciando alla discrezionalità ex post sugli incentivi e concordandola preventivamente.


 

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