Le rivolte in Nord Africa, intervista all’inviato Roberto Di Caro

Grande partecipazione di pubblico all’incontro “Le rivolte in Nord Africa e i nuovi rapporti di forza nel Mediterraneo” organizzato dalla CNA provinciale, in collaborazione con le associazioni mandamentali di Asolo, Montebelluna e Castelfranco, che si è tenuto giovedì 14 aprile a Villa Benzi Zecchini a Caerano San Marco.

Ospite d’onore della serata è stato l’inviato de L’Espresso Roberto Di Caro.

Hanno portato il loro contributo Catia Olivetto, presidente della CNA di Montebelluna, Antonella Cazzolato, presidente del C.O.I.M. e Alessandro Conte, presidente provinciale della CNA, le cui relazioni sono scaricabili dai link qui sotto.

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Roberto Di Caro, lei di rivolte, guerre e crisi internazionali ne ha seguite molte come inviato. Cos’hanno di diverso le rivolte in Nord Africa e in alcuni Paesi del mondo islamico?

Rispetto ad Iraq e Afghanistan non sono guerre portate dall’esterno, sono rivolte endogene, nate in quei Paesi. Sono però una diversa dall’altra. Il mondo islamico ha infatti alcuni elementi comuni ma è composito e complesso, sia come grado di sviluppo che come organizzazione della vita sociale e statuale.

Porti alcuni esempi, dalla sua esperienza.

In Iraq ho vissuto otto mesi durante la guerra e nell’arco dei due anni successivi. Ho seguito bene l’evoluzione degli avvenimenti. L’errore chiave degli americani è stato pensare di avere a che fare con una società semplice. Invece quella irachena è una società molto complessa, in cui si intersecano divisioni religiose, politiche, etniche. Gli americani non capirono questo e sbagliarono ogni mossa.

Conoscere il Paese in cui si opera, dunque, è molto importante. Anche in Libia la realtà sociale è complessa?

La Libia ha una società organizzata per tribù composte da poche decine di migliaia di persone, a differenza ad esempio delle tribù irachene che contano fino a 3 milioni di appartenenti. La decisione di schierarsi pro o contro Gheddafi dipende dalla decisione della propria tribù. È su questa particolare struttura sociale che il dittatore ha costruito il suo potere in un attento gioco di mediazioni, di dare e avere. Le tribù storicamente svantaggiate dal regime, come quelle della Cirenaica, si sono rivoltate. È insomma saltato il sistema di mediazioni degli interessi tra le diverse tribù. Ma è stata anche una rivolta degli individui.

La comunità internazionale come sta affrontando la crisi in Nord Africa e nel Vicino Oriente?

C’è stato un effetto domino libera tutti. Che cosa può uscire ancora non si sa. La comunità internazionale non ha le idee chiarissime. L’Italia non ne parliamo, è un caso patologico: prima ha puntato su Gheddafi, poi sugli insorti, poi sulla mediazione che significava ancora Gheddafi, poi ancora sui ribelli….

L’Occidente, dicevo, non ha avuto le idee chiare su cosa fare. Il grave problema di fondo su cui tutti ci si interroga è: queste rivolte favoriranno la nascita di democrazie, anche non necessariamente uguali alle nostre, oppure saranno l’occasione per il fondamentalismo islamico di prendere il potere in quegli Stati?

Il rischio fondamentalismo è forte in tutte le realtà in rivolta?

No, ci sono delle differenze. In Libia non sembrano esserci le condizioni per un avanzata forte del fondamentalismo. Le richieste che i capi dei rivoltosi fanno all’Occidente lascerebbero intendere che si tratta di una rivolta per la libertà, non sembra abbiano intenzione di instaurare una Repubblica islamica integralista.

In Egitto invece?

In Egitto la situazione è assai più delicata e pericolosa. I Fratelli Mussulmani sono nati proprio in quel Paese nel 1923 e sono stati la prima scintilla della rinascita dell’islamismo. Nel 2007 il blogger egiziano “Karim Amer” venne condannato a 4 anni di reclusione, di cui 3 anni per insulti a Maometto e uno per insulti a Mubarak. Questo fatto fa capire una cosa: è stato illusorio da parte dell’Occidente pensare che l’appoggio a regimi dittatoriali fosse il male minore e servisse da contenimento dell’integralismo islamico.

Lo scrittore Ala-Al-Aswani lo spiega molto bene nel suo romanzo Palazzo Yacoubian (Feltrinelli, 2006): dittatura, terrorismo e l’integralismo si sono sempre alimentati a vicenda.

Quella egiziana è stata salutata come la rivoluzione di facebook, delle classi colte, dei giovani, della borghesia illuminata, ma nel giro di due settimane si era già capito che quello che stava prendendo il potere era un blocco ben definito composto da esercito e i Fratelli Mussulmani.

Ci sono episodi specifici che fanno pensare a un’involuzione in senso antidemocratico e fondamentalista della situazione egiziana?

Guarda, nel primo comizio di Al Karadaoui è stato impedito al blogger simbolo della rivolta, Wael Ghonim, di parlare. Il leader dei Fratelli Mussulmani tra le prime cose che ha detto è stato: nessun cristiano e nessuna donna saranno mai presidenti della repubblica e applicheremo la sharia. Poi è stato fatto in fretta e furia un referendum contro la richiesta dei giovani che avevano animato la rivolta che ha modificato in parte la Costituzione. Il sì ha vinto con il 77%. Il messaggio è stato questo: volete la democrazia? Eccola, il popolo ha votato e ha votato con noi. In Egitto si profila dunque la vittoria dell’area islamica più integralista e arretrata.

E negli altri Paesi, Siria, Marocco, Giordania, che cosa sta succedendo?

La rivolta in Siria ha tratti ancora differenti, è più che altro una ribellione contro il regime di Assad figlio che aveva promesso riforme e non le ha fatte. Sembra una rivolta animata dalla sete di libertà del popolo.

Altra situazione ancora in Giordania e Marocco, dove ci sono stati subbugli, moti e proteste. In questi due Stati arabi la spinta al rinnovamento viene però dall’alto e trova l’opposizione del popolo. In Marocco, ad esempio, viene contestata la riforma del diritto di famiglia che riconosce alle donne diritti che prima non avevano. Va tenuto presente che la presa dell’integralismo islamico è molto forte e in crescita sulle masse, sulla parte più povera della popolazione.

L’Islam è in sé un pericolo?

Non tutto l’Islam è terrorista, questo lo si ripete da sempre. Il punto è che la minoranza integralista è come un virus che sta infettando l’intero corpo dell’Islam contemporaneo. Si parla di un nuovo rinascimento islamico, ma a mio avviso è un grande corpo infettato.

Bisogna riconoscere che Al Qaida la prima battaglia l’ha vinta. Dopo il 2001 e l’attentato alle Torri Gemelle con la comprensibile reazione dell’Occidente e la guerra in Afghanistan contro il regime dei talebani (una guerra giusta secondo la mia opinione) è cresciuto il senso di appartenenza, di identità degli islamici.

La provincia di Treviso nel 2010, prima delle rivolte, esportava in Nord Africa merci per 248 milioni di euro. Che ripercussioni ci saranno sulle nostre attività economiche nell’area e sugli scambi commerciali?

Se ci sarà il miglioramento delle condizioni di quei popoli, si creeranno nei diversi Paesi mercati interni più forti. Questo favorirà sia loro, che staranno meglio, sia noi e i nostri business. L’enorme sviluppo del Brasile è dipeso anche dal fatto che Lula ha ridotto l’area di povertà: la crescita folle di quel Paese è legata appunto all’allargamento del suo mercato interno.

Certo, la capacità di penetrazione nei mercati del Nord Africa e del Vicino Oriente, nel nuovo corso, dipenderà anche dalla nostra politica estera. È infatti complicato stabilire rapporti economici con quei Paesi, si deve passare attraverso burocrazie infami, sganciare mazzette, pagare verso il basso e verso l’alto. Senza un’attività strutturata delle diplomazie e dei nostri istituti per l’estero e senza una politica estera coerente e forte, le nostre imprese, da sole, non possono farcela. L’incertezza è letale per il business.

Francesca Nicastro

 

 

 

 

 

 

 


 

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