Referendum autonomia Regione Veneto, la CNA si schiera per il sì Motivazioni per un voto consapevole

Una parte delle associazioni di categoria e del sindacato che aderisce ad Arsenale 2022 – e precisamente oltre a CNA, Confartigianato, Confersercenti, Lega Coop, Confcooperative, Coltivatori Diretti, Professionisti e Cisl, con l’esclusione dunque di Unindustria e Confcommercio – ha espresso una posizione unitaria sul referendum indetto dalla Regione Veneto per il prossimo 22 ottobre, il cui quesito è: “Vuoi che alla Regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia?”  

Il documento sottoscritto dalla CNA assieme alle altre organizzazioni si intitola: “Le motivazioni per un sì consapevole”.

Di seguito i contenuti.

“Le motivazioni per un sì consapevole”
Premessa

Il percorso che abbiamo iniziato non termina con il Referendum ma ci impegnerà nel lungo percorso che ancora ci separa dal raggiungimento di un compiuto Stato delle autonomie.
Il nostro impegno e l’impegno che chiediamo a tutte le forze della società veneta non può limitarsi a una scadenza simbolica, ma deve tradursi in una piattaforma condivisa di medio periodo, capace di avanzare lungo il sentiero dell’autonomia regionale in modo indipendente dalle formule governative (tanto a Roma quanto a Venezia), senza cioè cadere nei blocchi delle convenienze politiche che già tante volte nei venticinque anni trascorsi hanno impedito la realizzazione di un solido regionalismo differenziato nel nostro paese.

1. L’autonomia regionale come condizione di un nuovo Stato delle Autonomie
La proposta di referendum della Giunta regionale del Veneto è un’occasione per rilanciare un regionalismo rafforzato, completa il disegno regionalista avviato nel lontano 1970, può essere utile per rafforzare l’intero sistema Paese attraverso una competizione virtuosa tra sistemi regionali. In tal senso, un regionalismo compiuto è coerente con le sfide attuali a cui gli stati nazionali devono fare fronte: l’internazionalizzazione delle produzioni e dei mercati e, soprattutto, il processo di integrazione europea, che rimane la prospettiva strategica di questa parte del mondo nei prossimi decenni, nonostante i problemi di funzionamento emersi a seguito delle vicende della crisi finanziaria internazionale del 2008-2011.
Entrambe le sfide richiedono un regionalismo competitivo, solidale e cooperativo, una reale autonomia delle istituzioni locali nel quadro dei vincoli di finanza pubblica nazionale, ma anche uno Stato nazionale più forte, non più debole. Il regionalismo e il riconoscimento delle autonomie, in questo contesto, potrebbero costituire l’assetto istituzionale più idoneo, per consentire allo Stato di proteggere gli “interessi nazionali” lì dove questi si confrontano con quelli degli altri Stati e di dedicare particolare attenzione alle negoziazioni internazionali ed europee. Insomma, lo stato faccia bene i suoi compiti, anzi si rafforzi, senza mortificare le competenze delle regioni o legiferare in modo erratico su questa o quella materia di riferimento regionale.
Sul piano interno, le istituzioni statali, di fronte alle richieste di maggiore autonomia da parte delle Regioni ordinarie, sono chiamate anch’esse a migliorare le politiche di loro competenza senza frapporre pretesti alle richieste autonomistiche e senza rincorrere il livello regionale su attività e politiche che, in un quadro di sussidiarietà, non possono che essere di competenza regionale. Il punto fermo da cui partire è che sia lo stato centrale che le regioni devono aumentare la loro efficienza e la loro capacità di dare risposte alle economie e alle società locali, senza intralciarsi a vicenda come troppe volte abbiamo visto in questi anni.
La stessa perequazione di risorse fatta al centro tra le regioni più ricche e quelle più povere ha una sua legittimità perché risponde a criteri di equità e di giustizia redistributiva, ma deve rispettare almeno due condizioni: a) una effettiva responsabilizzazione delle regioni che ricevono le quote perequative al fine di evitare il circolo perverso della dipendenza e dell’allocazione inefficiente di risorse provenienti dalla solidarietà territoriale; b) una partecipazione delle regioni che cedono risorse alla definizione dei criteri per la loro assegnazione e ai relativi controlli. Sotto questo profilo la richiesta della Regione Veneto di trattenere il 90% del gettito IRPEF , IRES e IVA, va inteso come un modo per aprire un negoziato, anche se al momento non appare per nulla facile.

2. L’autonomia competitiva come apertura
Il principio dell’autonomia regionale trova la sua legittimazione nell’art. 116, comma 3, Cost., che contempla la cosiddetta “clausola di asimmetria”, prevedendo la possibilità di attribuire alle Regioni che ne facciano richiesta “forme e condizioni particolari di autonomia”. Certo, si tratta di un percorso di differenziazione delle funzioni diverso da quello previsto per le regioni a statuto speciale, ma si può immaginare, con una certa dose di ottimismo, che tra qualche anno in larga parte delle regioni venga ottenuto quella maggiore autonomia che la clausola di asimmetria consente. Con la conseguenza che il nostro Stato si sarà trasformato in un vero e proprio “Stato regionale”, più efficiente e snello, con maggiori responsabilità in capo alle regioni, con divari territoriali finalmente in via di attenuazione.
Ma uno Stato delle autonomie è tale se lo Stato c’è, è forte, autorevole, efficiente. L’obiettivo primo di una classe dirigente regionale che legittimamente chiede più autonomia dovrebbe essere quello di contare di più a Roma per assicurare che uno Stato migliore e più efficiente diventi la migliore garanzia della praticabilità dell’autonomia regionale. Un Veneto più autonomo è anche un Veneto più presente e che conta di più a Roma, non una regione che pensi di ritirarsi in una sorta di splendido isolamento, lasciando magari campo aperto ad una ulteriore meridionalizzazione dello stato centrale.
In secondo luogo, va riconosciuto che il regionalismo italiano è tutt’altro che omogeneo, con Regioni che operano bene ed erogano buoni servizi, ma anche con Regioni che hanno difficoltà a gestire funzioni e politiche pubbliche in modo soddisfacente. Anche per questo bisogna dare contenuti precisi alle politiche perequative dello Stato, valutando le gestioni regionali in base ai risultati ottenuti con le risorse trasferite. Di nuovo, solidarietà (offerta) e responsabilità (richiesta) non possono andare disgiunte come purtroppo tante volte accaduto in passato, ma devono rappresentare le due facce indissolubili del vincolo federale. In conclusione, i promotori dovrebbero far intendere in modo chiaro che l’asimmetria non costituisce l’anticamera di una richiesta di separazione, ma rappresenta il modo previsto dalla Costituzione per un regionalismo più consapevole e responsabile, con effetti emulativi da parte delle Regioni e da cui tutti i cittadini del nostro paese hanno molto da guadagnare.

3. La giustizia di pace come ulteriore materia di differenziazione
Chiarito il quadro di riferimento dell’asimmetria, rispetto alla proposta avanzata dalla Giunta regionale del Veneto proponiamo di aggiungere alle norme generali sull’istruzione, la tutela dell’ambiente e i beni culturali, anche la giustizia di pace, la terza materia di competenza statale che le Regioni possono richiede di assumere nell’ambito delle loro forme e condizioni particolari di autonomia.
La giustizia di pace è istituto antico, si ispira all’autonomia delle comunità locali nell’amministrare la giustizia e la sua rilevanza per l’ordinamento regionale è da collegare a quanto la riforma del Titolo V ha inteso realizzare con l’introduzione del “principio di sussidiarietà”. Infatti, tra gli elementi della tradizione che vengono in rilievo con l’organizzazione della giustizia di pace vi è, anche e soprattutto, questo aspetto della “prossimità”.
In questo ambito, sembra logico ritenere che spetti allo Stato fissare i principi che assicurino l’indipendenza e l’autonomia del giudice di pace, non derogabili dalla legge regionale, così come la parità di accesso alla giustizia dei cittadini. Poi spetterà alla Regione organizzare in modo efficiente le attività dei giudici di pace, sviluppando nelle materie di specifica competenza un canale alternativo e parallelo a quello della giustizia ordinaria.

4. La questione delle materie concorrenti e delle materie esclusive; più autonomia in attività produttive, Agricoltura, Turismo, Artigianato, Commercio, e lavoro
Un secondo profilo di riflessione riguarda il fatto che le materie attribuite in via asimmetrica con il negoziato tra Stato e regioni si troverebbero ad avere una sorta di “protezione rafforzata” rispetto alle materie che già sono attribuite con competenza esclusiva in Costituzione alle Regioni. Infatti, poiché la Corte costituzionale ha ammesso la possibilità per lo Stato di interferire sui poteri regionali dell’art. 117, comma 4, Cost. (sentenza n. 370 del 2003), si incorrerebbe nel paradosso che l’asimmetria potrebbe rafforzare la competenza concorrente, ma lasciare in balia dello Stato la altrettanto importante competenza esclusiva regionale.
Va dunque ribadito, specie a fronte delle continue intrusioni di campo del legislatore nazionale nelle materie esclusive delle regioni, che la richiesta di autonomia anche in quest’ultime materie potrebbe rappresentare un solido argine, una sorta di protezione rafforzata, alle reiterate tentazioni centralistiche del governo e del parlamento. Di conseguenza, la nostra posizione è che, nonostante il tenore dell’art. 116, comma 3, Cost., non lo contempli, nell’accordo sulle forme e condizioni particolari di autonomia potrebbero rientrare anche le materie dell’art. 117, comma 4, Cost., come agricoltura, turismo, artigianato, commercio, attività produttive, professioni, trasporto pubblico locale, ecc., le quali in questo modo riceverebbero una protezione rafforzata, analogamente alle materie concorrenti fatte oggetto di attribuzione in via asimmetrica.
Inoltre, in riferimento alle materie sopra specificate, insieme a quella “tutela del lavoro”, potrebbero fare assumere alla Regione Veneto il ruolo di supporto del sistema produttivo del territorio, anche in questo caso rendendo non solo più prossime le decisioni, ma anche e soprattutto più adeguate alle esigenze degli imprenditore e della società. In particolare, materie come l’artigianato, il commercio e la piccola impresa, l’innovazione e la ricerca applicata, la formazione delle alte professionalità e le politiche attive del lavoro rappresentano ambiti di autonomia regionale inevitabilmente differenziata, nei quali la nostra regione può organizzare in modo autonomo servizi per rispondere in modo efficace alle domande dell’economia veneta. Analoga prospettiva dovrebbe essere perseguita sui terreni della mutualità contrattuale, della previdenza integrativa e della sanità integrativa, dove il Veneto ha già maturato esperienze d’avanguardia che andrebbero sostenute, come già avviene in alcune regioni a statuto speciale, da adeguate specifiche politiche regionali che consentano di realizzare un vero e proprio regionalismo solidale.

5. Regione, province, enti locali: una possibile nuova frontiera
Se alla fine del percorso autonomista il novero delle materie attribuite alle Regioni che ne hanno fatto richiesta sarà coerente e ampio, si potrebbe pervenire, attraverso l’asimmetria, ad un nuovo modello amministrativo. Infatti, lo svolgimento delle funzioni amministrative nel territorio regionale dipenderanno direttamente dalle scelte della Regione con riferimento alla determinazione degli ambiti ottimali delle funzioni amministrative: cosa si deciderà di decentrare alle Province, come si organizzeranno gli ambiti di area vasta, quale visione si vorrà avere della Città metropolitana di Venezia, come si intenderà procedere in tema di aggregazione dei comuni.
Nel caso in cui le funzioni amministrative della Regione dovessero essere potenziate, sarà bene sin d’ora predisporre un progetto sull’articolazione territoriale delle funzioni acquisite. Vale a dire che nel quadro di un percorso verso il federalismo regionale, spetta alla regione promuovere il più rapidamente possibile un tavolo di lavoro e una proposta relativa agli ambiti territoriali intermedi, che tenga conto del destino delle province e della necessità di aggregazione dei comuni veneti.


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Analisi tecnico-giuridica del quesito referendario


 

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